Attenzione: la nuova serie di Sky The Night Manager è piaciuta a Claudia. Ma tanto. Ma così tanto che, come spesso avviene quando vede qualcosa che la fa letteralmente impazzire, sente la necessità di scriverne, leggerne, parlarne. Ma, quando i livelli di gradimento superano la soglia della normalità per sfociare nel più bieco fangirlismo post adolescenziale, scatta la pericolosissima fase 2: deve scrivere, commentare. La fase 3, vi avvisiamo, si verifica piuttosto raramente. È la forma più grave. Quando arriva a questo punto, Claudia disegna e scrive parodie. Resasi conto che la Cicala Sara non ha potuto vedere il primo episodio di The Night Manager, ha deciso di raccontarglielo scena per scena, alla maniera delle Cicale. Vi avvisiamo che, avendo la ragazza perso la bussola già alla prima puntata, non ci assumiamo responsabilità circa le follie scriteriate che tirerà fuori. Perdete ogni speranza, o voi che leggete.
Episodio 1 parte 1: come ti seduco il Night Manager
Il Cairo, 2011
Jonathan Pine (Tom Hiddleston, ovviamente) è un ex soldato che, è indubbio, soffre di qualche forma di stress post-traumatico. Come facciamo a saperlo quasi subito? Anzitutto perché viene detto a rotta di collo nel trailer e nella pubblicità, secondo perché ha scelto di vivere in Egitto, professione night manager, che è un modo elegante e molto chic di dire portiere di notte. In verità, il nostro Jonathan è (quasi sempre) furbo, più furbo di una volpe furba, ma di questo parleremo più avanti.
Che è un soldato con i nervi d’acciaio, il nostro eroe, lo si capisce quasi subito. Passeggia tutto tranquillo in mezzo ad una manifestazione, incurante delle granate e degli spari che gli piovono sopra la testa e poco ci manca che fischietti. Certo, ogni tanto, specie quando qualche manifestante gli si butta addosso e c’è la calca, scarta e svicola come me alla stazione Termini quando c’è lo sciopero, ma tant’è. Giunto sul posto di lavoro (lo sciccoso hotel Nefertiti) con un disturbante anticipo, si mette a predisporre l’evacuazione degli stranieri presenti in hotel, gestendo con savoir-faire cadute di granate, isterie collettive e tassì. Una giornata normale, insomma. In tutto questo marasma, si ferma la musica e compare lei. Sophie.
L’amante, al solito, del figlio scemo e cattivo di una nota famiglia potente quanto crudele. I due, ovviamente, nemmeno incrociano gli occhi, ma la tensione è palpabile: scatta il cronometro per vedere tra quanti minuti di film finiranno a letto insieme. Tempo stimato: quindici minuti.
Sophie, panterona col fascino della Milf, si avvicina alla reception. “Signor Pine,” miagola, “vorrei un caffè. Me lo porta?”
Il nostro, ovviamente, esegue al volo, ma la sciccosa signora non si accontenta del caffè. Vuole chiacchierare. Di più, vuole sapere che cosa sa di lei il bell’inglese. “Sai chi paga i miei conti? Freddie Hamid,” soffia, “un uomo corrotto e cattivo, il male fatto persona.”
E zac! Se prima Pine aveva un briciolo di autocontrollo, con la mossa, scorrettissima, della modalità fanciulla indifesa nelle mani del mostro, il nostro eroe perde ogni remora. Resasi conto che ad ogni battere di ciglia il fustone è sempre più ai suoi piedi, Sophie scrocca a Pine l’uso della fotocopiatrice personale. Di nuovo, Jonathan esegue. Il problema, tuttavia, si pone quando gli occhioni blu-verdi-grigi boh del portiere cadono sui documenti di Sophie. Qualcuno sta comprando un arsenale talmente tanto gigantesco che sembra debba combattere contro la Morte Nera di Darth Vader. Sophie ordina a Pine di metterli in cassaforte e di custodirli, per divulgarli solo dopo e se le succederà qualcosa.
“Teme che le possa capitare qualcosa? Teme per la sua sicurezza?!” mormora Pine che la fissa come un cerbiatto innamorato.
“No, ma lei sì. Grazie,” soffia lei. Sophie ha catturato la sua preda ma, spietatissima, infierisce. S’informa sull’amena scelta di Jonathan di diventare portiere di notte al Cairo. Pine, anziché confessare di essere un grandissimo fan del mitico film dove Micheal J. Fox interpreta il concierge (e con cui questa storia ha diversi punti in comune), biascica frasi fatte e la panterona, di rimando, molla il suo colpo di grazie. “Vabbé, comunque peccato perché alla luce del sole sei più bello.”
Pine è in un brodo di giuggiole, ma deve riprendersi in fretta: tra le mani stringe il carrello della spesa di un pazzo furioso, affetto da manie di shopping compulsivo. Che vuole comprare armi. Ma potrebbe trattarsi di uno scherzone, e così il nostro chiama l’albergo dove risiede Freddie Hamid e, in una delle telefonate più losche della storia, riesce a farsi dire dal barista più chiacchierone della terra che l’amante di Sophie in quello stesso momento sta discutendo con tale Roper (Hugh Laurie). Nel suo yacht. Poco ci manca che gli dice pure cosa stanno bevendo. Jonathan Pine allora prende la decisione che qualsiasi persona media prenderebbe: vabbè che Sophie gli ha detto di fare uso delle carte che gli ha dato solo se le capitasse qualcosa di brutto, ma qui se il nostro eroe non fa nulla scoppia la guerra mondiale. Così corre di volata dall’amico che lavora al consolato inglese, dal nome impronunciabile di Ogilvey, (Russel Tovey, che ricordiamo particolarmente nell’ottima produzione Grabbers del 2012), e gli consegna le prove scottanti. Il funzionario, sfoggiando una vestaglia che ricorda fin troppo Hugh Hefner, finge di contare qualcosa nella storia e manda via posta il plico incriminato a Londra.
Nel peggiore ufficio di Londra, a dirla tutta. Triste, freddo e male arredato, è qui che la tenace e infagottata Angela Burr dirige le operazioni per incastrare Roper, il male fatto persona. Questa versione – giustamente – ricoperta di lana del mitico ispettore Zenigata, non appena mette mano alle carte su Roper ordina una mega indagine su tutti i residenti inglesi all’estero. “Così,” dice, “fingeremo di sparare nel mucchio e invece zac! Troveremo lui.”
I piani di Angela e le buone intenzioni del nostro efficientissimo Night Manager, ahinoi, sono tuttavia destinati a scontrarsi col classico dei classici. Il gran sedere del cattivo. O la sua furbizia. O i suoi contatti. Mentre Jonathan è di servizio, gli arriva una chiamata dalla suite di Sophie – e qui scatta il sorrisetto soddisfatto di Pine. “Portami una badilata di alcool,” piagnucola Sophie.
“Glielo faccio subito portare, signora,” risponde l’efficientissimo Jonathan con un sorriso a tremila denti.
“Voglio che me lo porti tu,” sibila Sophie. Ora, per la cronaca, va detto che il nostro eroe ci prova pure ad opporre un’effimera resistenza. “Ma ho mille tassì da chiamare, c’è una sommossa popolare,” prova a ribattere, ma invano. Il cervello perde il controllo, e così il nostro eroe s’incammina per i sontuosi – e un po’ pacchiani, corridoi dell’hotel per portare il benedetto drink.
La panterona è girata. Si fa servire da Pine. Poi sospira. “A chi hai dato i fogli che ti ho dato, fustacchione?”
Cala il gelo, e Jonathan sgrana gli occhioni blu-verdi-boh da perdincibacco. Sophie si gira e mostra il volto tumefatto dalle percosse. L’accordo, spiega, tra Hamid e Roper è saltato e Freddie se l’è presa, incredibilmente, con lei. Quindi, Jonathan, a chi diamine hai dato questi benedetti documenti?
Ora, se Jonathan Pine non fosse il figo che già è, e la spia fighissima che sarà se, quindi, fosse una persona media, a queste parole sarebbero seguite una lunga e brutta serie di insulti e maledizioni da parte di Sophie, che avrebbe minacciato il licenziamento e gli avrebbe aizzato pure il cane contro – un volpino, dicendogli “mi servivano come assicurazione per la mia vita, non contro!”
Ma siccome Jonathan è, almeno in potenza, una spia fighissima e Sophie ha tutt’altri progetti per lui, in sostanza gli dice “fa niente, fustacchione. Te li avevo dati apposta perché tu, che sei una brava persona, li divulgassi. Mio eroe!”
Azzannato, se non dal volpino, dal senso di colpa, Jonathan sbologna la bestiola al concierge e porta la povera Sophie in un’altra stanza, giusto in tempo prima che il manesco fidanzato di lei torni a “completare il lavoro.”
Arrivando chiaramente durante il turno di Pine che, fortunello, si trova a dover portare il simpatico e gradevole – nonché cafonissimo, vedere la collana d’oro che porta al collo, Hamid nella suite della bella Sophie. Che trova vuota. Lì, Freddie, si fa pigliare dal panico. Trema, inveisce, rovescia cose. E interroga il nostro eroe che, come da stereotipo, dovrebbe saper tutto di tutti nell’albergo. “Dov’è? Quando l’hai vista l’ultima volta?” domanda.
Ma il nostro fa il vago. “Uhm boh. Ieri sera?! vuole che chieda al personale?” (tenta di svicolare sui subordinati, ebbene sì). A questo punto, Freddie Hamid, che vorrebbe essere furbo più di una volpe furba, tenta il trappolone. “Di che colore era il cavallo bianco di Napoleone?” domanda mentre rovista inferocito nella stanza della bella Sophie. “Bianco!” risponde Pine da dietro la porta. A peggiorare la situazione, a questo punto, arriva la telefonata presumibilmente del babbo di Freddie, che deve suonare più o meno “deficiente, che ti pensavi, che rimanesse là a farsi ammazzare? Tu ora la trovi e ce la porti, babbeo che non sei altro!”
Freddie prova a scusarsi. Dice che la troverà, quella maledetta. Parla dell’accordo, mi pare. E lo fa in arabo. Ma, non appena termina la chiamata, un dubbio feroce l’assale:
“Non è che parli arabo?” domanda in arabo. Attimo di esitazione di Pine. “Eh? Come dice? Che ha detto?” fa finta di niente la nostra volpe furba più di una volpe furba. Ha proprio stoffa, il ragazzo. Ovviamente lo capisce. Poco e male, ma abbastanza da ascoltare l’amena telefonata babbo/figlio. Freddie, ad ogni modo, si è quasi convinto che quell’inglese, che vive e lavora a Il Cairo da chissà quanto, non sappia una parola che sia una della lingua madre del posto anche se, forse, vorrebbe indagare maggiormente, ma ecco che arriva la chiamata super segreta di Roper, l’uomo più cattivo del mondo, così cattivo da giocare a burraco in squadra con Iriza Legan di Dolce Candy contro il demonio in persona. Che Freddie, dimostrando estrema intelligenza, chiama per nome. “Buonasera signor Roper,” dice tremando come un agnellino. In inglese, perché il trafficante d’armi sennò si stizzisce, e chi se ne frega se il night manager ascolta. Segue una conversazione fantozziana. “No ducaconte, la troveremo. Vi assicuro, ducaconte, che è tutto sotto controllo.” Poi, rivolgendosi a Pine: “questo è il mio numero. Se la vedi, avvertimi.”
“Certo, signore,” risponde il nostro night manager facendogli mentalmente un gesto dell’ombrello epico.
Jonathan Pine, che è furbo come una volpe furba, ha un unico pensiero in testa: il fugone di Sophie. Sophie, dal canto suo, ha un unico pensiero in testa. Fare il fugone con Pine. Chi la spunterà?
The Night Manager: come in un film di Anthony Minghella…
Il nostro night manager rimedia casa di un suo amico archeologo opportunamente in vacanza altrove. “Vieni via con me,” soffia Sophie in uno stilosissimo completo pantalone e camicia di lino color avorio, occhiali da diva e foulard d’ordinanza al capo. E lo fa, signore e signori. Sbatte le lunghe ciglia nere e Pine smette i panni di portiere notturno per vestire quelli del giovane esploratore.
Fuggono a bordo di una macchina che viene direttamente dagli anni Ottanta verso il deserto, in una scena che ricorda un altro inglese assieme ad un’altra bella. Di chi sto parlando? Ma del Paziente Inglese, ovviamente, che di inglese aveva solo l’attore, dato che il conte Almasy (da pronunciarsi Olmashi) era un mix mitteleuropeo di difficile comprensione. E, se fate caso, il giovane Ralph Fiennes e il bel Tom Hiddleston si assomigliano pure nelle vesti: entrambi optano, per la loro gitarella nel deserto, per una camicia celeste su dei pantaloni beige. Ma le analogie non finiscono qui.
E qui la vostra Cicala Claudia ve la dovete immaginare con gli occhi a cuore, sospirante, perché il Paziente Inglese è uno di quei film che ha visto millemila volte, su cui, l’ultima volta – la centesima, che l’ha mandato in play ha pianto, e Ralph Fiennes è stato un grandissimo amore.
E dopo quest’omaggio fantastico, ecco il momento romantico, signore e signori. Pine si siede in pizzo sul divano dall’altra parte del soggiorno, come nemmeno se fosse andato a casa della sua maestra delle elementari. Sophie lo scruta come un lupo con la sua preda.
“Perché non ti avvicini?!” domanda con fare da pantera.
A Jonathan quasi va di traverso l’acqua che sta bevendo. “Uhm, rispetto?” prova a rispondere. Ma non è la risposta giusta, e la povera Sophie capisce che deve prendere il toro per le corna se vuole ottenere qualcosa. Si avvicina e inizia un preambolo inutile. “Tu indossi molte maschere, c’è come un cambio della guardia in te.” E certo, Sophie. Pine è un night manager, lavora con il pubblico. Davanti ai clienti non può dire o fare quello che pensa, altrimenti come lo paga l’affitto? “Sei sempre così con le tue donne?” insinua.
“Ma tu non sei una delle mie donne,” sottolinea l’ovvio Pine. Niente, non c’è proprio nulla da fare con la nostra volpe furba più di una volpe furba. Sophie tocca che fa i disegnini. “Voglio andare a letto con te. O qualsiasi delle tue maschere, basta che sei tu,” spiega infine. Il nostro eroe la guarda…
La mattina dopo, ovviamente, è amore. Sophie rivela che in verità si chiama Samira e descrive Roper con parole gentili. “È un demonio che gode nel fare del male al prossimo,” sintetizza, “ma molto carismatico.” I due piccioncini parlano anche del futuro e qui, Pine che, ricordiamolo, è un ex soldato riciclatosi portiere che conta come il due di picche quando regna bastoni, spara una soluzione a caso. “Ti mando in Inghilterra,” dice. Poi lascia la sua bella e va a lavorare.
Al Nefertiti hotel lo aspetta Ogilvey (che intanto abbiamo scoperto essere ex stagista di Angela Burr), a cui Jonathan fa presente che, anzitutto, il suo informatore è stato picchiato da Hamid. “Ah, ma allora vai a letto con la donna di Freddie!” deduce il nostro funzionario. “Dettagli. A chi hai mandato la roba che ti ho mandato?” s’informa Pine visibilmente irato. Comunque, ormai il danno è fatto, ora c’è solo da capire come fare a far uscire Sophie dal paese per portarla nel Regno Unito.
“Col cavolo che ce la porti,” rompe subito le uova nel paniere il funzionario. “La famiglia Hamid possiede mezza Inghilterra e pure qualche squadra di calcio. Non si può fare. L’unica sua speranza è rimanere qui e convincere Freddie che non è stata lei a tradirlo,” spiega spiccio il nostro.
“Ma ci ha aiutato!” protesta Pine.
“Ecchissenefrega!” ribatte Ogilvey.
E ora come glielo dirà a Sophie, la nostra volpe furba più di una volpe furba? Col telefono. Subito. Bravo Pine, meglio non rimandare. Il nostro eroe chiama casa dell’archeologo. “Sophie?” esordisce, “l’Inghilterra non è più un’opzione… troverò un’altra soluzione!” spiega il nostro genio di politica internazionale. La bella panterona però, non la prende per niente sportiva. Dovete capirla, poveretta. Lei già si vedeva col cappellino ad Ascot, a sfiancare quel poveretto di Jonathan e a fare l’appioppo a casa sua.
“Ah! Ecco, hai messo un’altra delle tue maschere!” grida e, simpaticissima, gli attacca il telefono in faccia. La nostra cara Sophie non si era resa conto che Pine è quello che ti dà le chiavi quando rientri in albergo alle tre di notte ubriaco come un melone: non è una potente e antica divinità norrena con traumi irrisolti, né un principe guerriero, né tanto meno una stella del rock…
Ma Sophie proprio non ci sta che non andrà in Inghilterra, e allora che fa? Torna al Nefertiti in pompa magna, con autista e abiti sciccosi d’ordinanza (tutti chiaramente pagati da Hamid, compreso il tassì), va alla reception e, di fronte ad un mortificatissimo Pine, si fa restituire cane e chiave e va nella sua suite. L’epilogo è scontato. Angela Burr chiama Jonathan da Londra, lasciandogli il numero di telefono e intimandogli di correre da Sophie. Pine quasi va lungo sul pavimento dell’hotel, si precipita nella stanza ma, quando arriva, è troppo tardi. Sophie è stata uccisa, e a nessuno importa nulla, men che meno ai poliziotti. Innervositi per la chiamata (siamo pur sempre nel cuore della notte, c’è Pine di turno), liquidano l’orripilante delitto – in cui però il volpino s’è salvato, come una rapina. “Ha stato i ladriiii!11” decreta il cugino di quinto grado del commissario Winchester di Springfield.
“Ma cosa, ‘ha stato i ladri’?” boccheggia Pine in lacrime. Nessuno ha rubato niente, lei era l’amante di Freddie Hamid,” esplode il nostro eroe perdendo l’abituale self control.
“Ma forse, invece, ha stato tu!” s’insospettisce l’ispettore che di mettersi contro la famiglia di infami carogne peggiore della città proprio non ha voglia. Pine deve chinarsi all’evidenza. Hamid è troppo potente e, in definitiva, a nessuno a parte lui frega nulla di Sophie.
Nella prossima puntata di the Night Manager: la parodia tragicomica
Dove la nostra volpe più furba di una volpe furba si ritira a leccarsi le ferite in quell’amena oasi di pace che è Zermatt. Dove incontrerà il famigerato e mefistofelico Roper, insieme alla di lui fidanzata trofeo e alla combriccola da circo che si tira appresso…
N.d.A.
The Night Manager è una bellissima serie televisiva angloamericana in sei episodi, tratta dall’omonimo romanzo del 1993 di John Le Carrè, prodotta dalla BBC e trasmessa in Italia da Sky.
Questa è una parodia. Leggetela, dunque, col sorriso sulle labbra, come ho fatto io scrivendola – tranne in un punto, dove il sorriso è diventato una smorfia triste.
Claudia
Claudia, ti voglio bene!!! Finalmente ho trovato un’anima affine. Quando ho letto che anche tu dopo la ultramillesima volta che hai rivisto il Paziente Inglese hai pianto mi sono detta, ma allora non sono sola al mondo!!! Oltre ovviamente al fatto che sono completamente persa nel trip degli occhi blu, verdi, grigi bellissimi e “ammazza cicale” del favoloso ‘strasexy Jonathan Pine. Ho tutti i sintomi: non penso ad altro, non guardo altro in televisione (grazie My Sky), cerco di tutto su internet e per fortuna che ho trovato te!!! Un bacione e continua così sei un vero talento!!!
Grazie, grazie, grazie e ancora grazie! Oddio, mi hai lasciato un commento meraviglioso, da incorniciare! Ebbene sì, ho pianto davanti a quel film pure se so le battute a memoria – è un capolavoro, non c’è che dire. Ralph Fiennes ha un degno erede, che gli somiglia pure anche se gli occhioni blu-verdi-grigi di Tom davvero non si battono! Come vedi anche nel blog, noi Cicale “abbiamo un problema” con quel figo di Tom/Loki/Pine. Ormai è una delle nostre muse ispiratrici, una sorta di co-autore honoris causa! Pensa che io già mi sono detta “e adesso come faccio ad aspettare il 2017 per vedere il terzo Thor e Kong: Skull Island?” Poi mi sono tranquillizzata, dicendomi “vabbé, devo ancora vedere High Rise e I saw the light, l’astinenza non sarà troppo dura.” Tornando a noi, ti ringrazio delle parole affettuosissime e spero di continuare a regalare a te e a tutti gli incauti lettori un quarto d’ora di divertimento! Un abbraccio forte, e ricorda che quando l’astinenza da Tom chiama, le Cicale rispondono 🙂 🙂
Et voilà, rieccoci a parlare di Lui!
Tra le granite e le granate d’Egitto, ecco avanzare uno dei motivi della nostra conoscenza: il famosissimo Gionata Pino!
Ho adorato questa parodia e, in occasione della prima TV Rai, ho deciso di rileggere le tue righe. Riecco le risate che riecheggiano nella magione!
La “Signora col cane”, il volpino di Pomerania, gli intrighi comici, le trovate rocambolesche, i commenti sapidi, le citazioni… È come avere una boccata d’aria pura! Semplicemente preziosa, questa parodia è ciò che ci voleva in questo sabato sera di fine estate e di stampelle!
W Claudia! W le Cicale Chic!
<3 Grazie Tomma' che ci hai fatto incontra'
Parodia? È uguale! Invero possente in costoro il Maccosa scorre!
Buwahaha! E considera che il primo episodio è un po’ freddino 😀