Attenzione: la visione di The Night Manager, la fascinosa serie TV con protagonista quel figo spaziale di Tom Hiddleston negli spumeggianti abiti di Loki, ehm, Jonathan Pine, provoca dipendenza, allucinazioni, tachicardia. Numerosi studi hanno dimostrato che guardare a ripetizione i film Thor, Avengers e Thor: the dark world aiuta a perdere definitivamente il contatto con la realtà, ma provoca, altresì, un diffuso senso di benessere. Si sconsiglia, invece, la visione del secondo Avengers, perché tanto la scena di Loki è stata tagliata, quindi chissenefrega. E sciagura a te, che hai deciso di rovinare il film con codesto gesto insulso.
Nelle puntate precedenti.
C’era una volta, e c’è ancora, un ex portiere di notte chiamato Jonathan Pine. Un po’ per sfiga, anzi, principalmente per sfiga, incontra Sua Malvagità Richard Roper. Poiché il nostro eroe è senza macchia e senza paura, si fa infinocchiare dai servizi segreti inglesi nella persona della tostissima Angela Burr per incastrare Roper. Pine accetta – vi pare che rifiutava? È l’eroe! – e riesce ad inserirsi nell’entourage di cattivi cattivissimi capeggiati dal Malvagissimo. Ma cogliere con le pive nel sacco Roper, per la nostra volpe furba più di una volpe furba, si rivela più difficile del previsto, un po’ perché la fidanzata del villain è una cretina totale che si innamora di lui, un po’ perché anche Corki, il nano da giardino di Roper, si innamora di lui. Ma il nostro fascinoso eroe riesce comunque a mettersi in luce presso il Malvagissimo, che non sospetta di lui nemmeno quando gli arriva la soffiata dai suoi amici di Londra. Che fortuna, eh? Pur di portare a termine l’operazione, ad ogni modo, quel figo di Pine si libera del nano cattivo, che ora non c’è più e prova a spifferare i piani del malvagissimo ad Angela. Ma la losca vendita, anziché fallire, va clamorosamente a segno e il nostro è costretto a ritornare a Il Cairo, nello stesso albergo dove tutto è iniziato. Riuscirà a non farsi sgamare, la nostra spia furba più di una volpe furba?
The Night Manager episodio 6 parte 1 –Jonathan Pine Colpisce Ancora
Alt. Fermi tutti. Rewind. Ho dimenticato, ahimè, una cosa fondamentale, un elemento essenziale. Nello scorso episodio, durante la colluttazione tra Corki, quell’agonia d’uomo, e lo splendido Jonathan, la vostra Cicala che ha un disperato bisogno di ferie si è dimenticata un particolare. Fortuna che la mia opera passa per il vaglio filologico di una lettrice che me l’ha chiesto. Ma Corki, non si leva la cinta, quando è sopra Pine? Sì. Lo fa. Cosa pensasse di fare, a braghe larghe e con una cinta in mano, non è cosa nota. Avrà pensato che Davide alla fine a Golia lo stende, si sarà detto “crederci sempre, arrendersi mai,” sarà stato infettato dalla sindrome del chihuahua mannaro dove il cagnolino, più è piccolo e tremolante, più vi abbaia manco fosse Fenrir il lupo. Io penso che volesse prendere non due piccioni, ma uno stormo con una fava. Strangolare Pine, fargli perdere i sensi, drogarlo che neanche Yanez nei Pirati della Malesia, e fuggire con lui, dopo averlo “convinto” di essere la sua anima gemella. Ma per fortuna nostra e di Pine, questa è un’altra storia.
Londra
Pamela, la strega malefica che ha passato le informazioni a Roper, vive il suo momento di gloria: è in atto, difatti, il cazziatone (sta sul dizionario, quindi ve lo beccate) nei confronti di Angela, rea di aver scaricato nel water cinque anni di lavori di intelligence nei paesi mediorientali e di aver fatto fare una figura barbina all’esercito elfico di Elrond. Più o meno.
“La presente riunione ha lo scopo di capire come mai si è proceduto nonostante informazioni così scarse ed evitare che ciò possa ripetersi,” continua la strega. Leggendo bene tra le righe, il significato della donna è palese ed evidente: scoprire chi cappero è la spia della Burr e segarla prima che possa spifferare altre amenità in giro.
Ma la tostissima sostiene il suo sguardo. “Mi hanno mostrato documenti falsi riguardanti tutta una storia pallosa che l’Autrice s’è stufata di raccontare,” spiega spiccia la donna.
“Questi?” domanda Randall di Outlander sventolando un mucchietto di fogli. Una comparsa inutile dà con sfregio i sopraindicati documenti alla nostra.
“In realtà,” specifica Randall, “quei documenti sono validi per la Bulgaria e l’Italia,” dice, attirandosi l’odio patriottico della Cicala Claudia. E che, noi dobbiamo farci una figura barbina, adesso?
Dopo altri dettagli pallosi, la perfida giubba rossa si rivolge ancora ad Angela. “Mi accusa forse di stare mentendo?” dice candido. Lei lo fissa come se lui le avesse tirato sui capelli cartoccetti bagnati di saliva da una cerbottana di fortuna fatta con una bic senza tappo, e Pamela ricomincia.
“Rex, l’Ewok senza spina dorsale, sostiene che lei avrebbe convinto un ometto a sottrarre delle informazioni da River House. Il suo nome in codice è il maniaco.” Costui, seduto a fianco di Angela del tutto casualmente, sbianca, suda freddo, si raccomanda alla Madonna del Guadalupe e a San Pancrazio.
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“Ma che state a dì,” ribatte Angela fiera. A lei, Giovanna d’Arco spiccia casa. A lei, la principessa guerriera Xena porta rispetto. A lei, Buffy l’Ammazzavampiri la chiama zietta e le telefona tutti i Natali.
“Porca miseria, quei documenti erano riservati! Da chi li hai avuti?” grida il sempre meno credibile Randall alzandosi in piedi.
La Burr lo fissa implacabile e stillante d’odio. “Li ho avuti da un angelo con l’aureola che si chiama Halo. E no, non è un personaggio di un videogioco,” dice beffarda.
“Si rende conto che questa è un’inchiesta molto seria, signora Burr?” Pamela è passata a far la parte del poliziotto buono, e cerca di cambiare strategia. Ma, di fronte al silenzio ostinato della tostissima, cambia parzialmente argomento. “Veniamo al contrabbando di armi,” dice allegra. “Sulla base di informazioni errate e senza informare gli Affari Esteri, ha utilizzato l’impiego di militari elfici. In un assalto a ventotto camion che trasportavano granaglie e macchine agricole.”
“Rex l’Ewok l’ha autorizzato, non io,” specifica la Burr. Oh Lettore, alla fine mica poteva prendersela sempre in quel posto Angela, eh.
“Il suo ultimo giorno,” ringhia Pamela.
“Embè? Che è, non vale?” domanda la Burr.
“Contando che le sue informazioni fossero giuste. Da chi le ha ricevute?” insiste la strega bionda.
La Burr sorride appena. Che quattro deficienti, pensa. “Da una fonte molto vicina alla Tradepass e a Richard Roper,” dice.
Pamela la fissa, colma d’odio. “Potrebbe specificare?” domanda. Magari Angela ce casca. Magari, finalmente, glielo dice. Invece la tostissima ride. “Se lo facessi, metterei in pericolo la vita di molte persone. Non lo posso fare,” dice.
“Questa è un’inchiesta a porte chiuse, i nomi non usciranno in alcun verbale,” sbatte le ciglia la strega. “Perché non ce lo dice?”
“Lo sai il perché. Lo sapete tutti quanti, il perché,” risponde Angela.
Accompagnati da una musica grave, ci spostiamo nel quartiere generale della Burr, dove la nostra fa ritorno dopo aver subito il terzo grado sopra descritto, dato che andare a casa, a lei, provoca la dermatite da contatto. Qui l’attende, fedele come un labrador affamato, Singhal. Nello squallore più totale. L’ufficio è deserto, hanno tolto le scrivanie, i computer, i vetri alle finestre e, per non sbagliare, pure i fili dell’impianto elettrico. Una tristezza desolante, insomma.
“Se ne sono andati stamattina, ordine del ministero,” soffia Singhal.
“Siamo tornati ad essere io e te, tu ed io,” commenta la nostra eroina con un sorriso.
“Nemmeno quello, temo. Tra due settimane chiudono l’ufficio,” spiega nascondendo a stento un certo sollievo l’indiano e porgendo alla donna una lettera di licenziamento. Ma che bella giornata.
“Va’ a casa, Angela. Pensa al bambino e pensa a fare la moglie,” prosegue Singhal. L’espressione sul volto della Burr è eloquente di quanto orribile le risulti questa opzione. “Mi dovrei arrendere?” domanda “e Pine?”
“Pine ti ha passato delle informazioni false,” le sillaba il sottoposto.
“Nah, non ci credo. Con quegli occhioni, poi,” mormora la donna.
“Ne sei sicura?” domanda l’occhialuto.
“Sono stata io a coinvolgerlo e a raccattarlo da quel ghiacciaio triste,” ricorda Angela, “non posso lasciarlo da solo.”
“Eh, non credo che tu abbia molta scelta,” risponde Singhal. Il momento topico viene interrotto dall’arrivo della stagista. “Volevo ringraziarti,” dice ad Angela, “se in futuro aprirai una rosticceria o farai di nuovo parte di un progetto fico, chiamami,” dice.
La Burr già mette le mani avanti perché non vuole impiastri quando squilla il telefono. E lei risponde. “Pronto, potrei parlare con Sophie?” domanda una voce figa, calda e roca dall’altro capo della cornetta.
“Eh? Guardi ha sbagliato,” dice lei, ma la voce roca insiste. “Quando torna, le può dire che siamo tutti qui, nello stesso hotel?”
Angela sorride, partono i violini. “È al Cairo,” dice fiera e soddisfatta. Ebbene sì. Finalmente, dopo cinque minuti, la nostra volpe furba più di una volpe furba, ormai diventata una spia perfetta, illumina i nostri schermi.
Stessa spiaggia stesso mare
Dopo quattro anni, dunque, eccolo di nuovo qua, quel figo colossale di Pine, in mezzo alla hall del suo ex posto di lavoro. Un’occhiata nostalgica è rivolta all’anonimo night manager che ora sta al posto suo che, oltretutto, ha appena chiamato Roper al telefono. Un soldato con una valigetta attaccata alla mano grazie ad un paio di manette chiede di vederlo, e il nostro fascinoso eroe sgrana gli occhioni verdi, blu, azzurri, grigi, insomma boh.
Roper apre la porta e piglia i documenti mentre Jed, sbragata sul letto e con delle mutande enormi stile bisnonna degli anni venti – ma una mezza misura, no, eh? – si strofina gli occhi. Di fronte a lei, dritto per dritto, Roper apre la pochissimo invasiva cassaforte.
Digitale, con un display grande come una casa su cui compare la combinazione e poi la scritta, gigantesca, opened e in cui, come se non bastasse, i tasti fanno rumore. Ora, se Jed fosse un briciolo intelligente, memorizzerebbe la password. Sono cinque numeri, non diciotto. Li vede, dal letto. Invece, siccome è cretina, poveretta, si mangia le unghie e osserva Sua Malvagità porre al sicuro i documenti. E pure per richiuderla compare la scritta, stavolta in rosso, ancora più evidente, ma lei no. Non la memorizza neanche stavolta. E vabbè.
La scena si sposta alle cinque, ora del the. “Eri mai stato al Cairo, Pucci?” domanda Roper a Pine.
“Ehhh no, mai” mente Jonathan. “Sono stato in Marocco e in Tunisia.” Sebbene si trovi nella stessa città dove ha vissuto e nello stesso albergo dove ha lavorato, nessuno l’ha riconosciuto, anche se non sembra sia cambiata gestione (di Hamid era e di Hamid è). “È proprio la prima volta che vengo qui,” continua Pine.
“Allora approfitta per visitarla, noi ci faremo la crociera sul Nilo,” dice Sua Malvagità di bianco vestito come un turista.
“Andrew non verrà insieme a noi?” ci prova la bionda. Ora, Jed io la capisco. Vuole disperatamente avere quel figo del nostro eroe sempre attorno, così ci scappa qualcosina di mezzo. Chiamatela scema. Ma Roper, se lei continua a sbattere le ciglia e a sospirare davanti a Jonathan, potrebbe grattarsi la testa e scoprire le belle protuberanza che gli sono cresciute sul capo, e questo potrebbe non essere bello.
“Questo è fuori discussione, io e te saremo molto impegnati,” spiega Roper che si crede ancora “er mejo fico der bigonzo.” Gli sfugge, ahinoi, l’occhiatina divertita e il sorrisetto compiaciuto di Pine, vero maschio alfa della storia.
“Oh, Richard Roper, io pendo dalle vostre labbra,” mente Jed facendo la carina. Tutti si sorridono felici. Jed sorride a Roper, che le sorride di rimando sognando prodezze notturne, e Pine fissa entrambi soddisfatto, dato che gli ci manca che Sua Malvagità gli tani quella vecchia storia delle corna.
“A proposito d’amore,” dice Richard. Tutti si voltano, e Jed s’infuria. “Che ci fa lei qui?” dice severa.
“Non gradisci la compagnia delle amiche?” risponde il malvagio.
No, se sono menagrame sfigate e tristi, vorrebbe dire Jed, ma la moglie di Sandy, Caroline la menagrama, avanza con un vestito a fiori triste ed è troppo vicina. Da questo punto in poi, Langbourne avrà la presenza di spirito di una pianta d’appartamento – una felce, per la precisione, nonché la stessa utilità, e la tristezza calerà immancabilmente sul gruppo.
Per liberarsene prima che il suo influsso malefico lo intacchi, Roper svicola abilmente. “Io devo parlare col nostro piccolo principe puccettoso. Perché voi signore non vi levate dalle scatole?” domanda soave. Del resto, il femminismo non lo capisce, lui è malvagissimo. Le due fanno la faccia schifata, e il trafficante insiste. “Andate a saccheggiare il bazar!” invita.
Finalmente soli (Langbourbe si è messo dentro un vaso e vegeta), Roper si lancia in parallelismi epici. “Sai chi sembriamo? Winston Churchill e Lawrence D’Arabia che si spartiscono il Medioriente, ma anche un po’ Rodolfo Valentino e il Mago Zurlì,” dice entusiasta. Pine ride, lusingato dal paragone con Lawrence d’Arabia, chiaramente riferito a lui, illuminando lo schermo con il suo sorriso Ammazzacicala®.
“E immagino che tu saresti Churchill, in questo caso,” specifica quindi il nostro fascinoso eroe.
“Se proprio insisti,” concede ovviamente Roper fissandolo con uno sguardo a metà tra l’innamorato e l’orgoglioso. Tipo Pigmalione di fronte alla statua da lui fabbricata o Peter Jackson quando rivede con Splatter: gli schizzacervelli.
Ma poi cala la tristezza. “È un peccato per Corki,” osserva Roper. “Se avessi saputo che era lui, il traditore, avrei provato a convincerlo a tornare dalla mia parte. Gli avrei detto che anche i traditori possono essere perdonati,” la butta in caciara. “Possono persino rivelarsi utili, i traditori. Spiano il nemico e gettano fumo negli occhi. Solo, devono fare una scelta,” continua vago. Jonathan Pine che, ricordiamolo, è una spia infiltrata dal fascino immenso, sta zitto e lo osserva coi suoi occhi felini, un po’ azzurri, un po’ grigi ma principalmente verdi in questa splendida diapositiva. Che il vecchiaccio abbia subodorato che la sospetta coincidenza Pine/spionaggio sia un po’ meno di una coincidenza? Che abbia capito e, anziché svelare gli altarini, cerchi di portare il nostro eroe dalla sua parte? Mah, amici lettori. Potrebbe essere solo arteriosclerosi.
“Non so perché lo dico a te,” ammette infatti Sua Malvagità, “tu la tua scelta l’hai già fatta, no?”
Pine gli rivolge un sorriso finto da venditore di tappeti che sta mollando una sola clamorosa. “E da un bel pezzo,” puntualizza.
“Ai re dell’Arabia,” brinda – col caffè – Roper per poi alzare lo sguardo e salutare con calore il nuovo arrivato, giunto alle spalle di Pine. “Freddie Hamid, come stai?” domanda caloroso alzandosi.
Un brivido gelido scorre lungo la schiena della nostra volpe furba più di una volpe furba. Di tutti i paesi del mondo, di tutti i posti del cavolo dove Sua Malvagità doveva andare a vendere la merce, proprio lì lo doveva portare porca miseria. Il sorriso gli si incrina appena – pur senza alterarne il fascino – e la faccia che il nostro fa è eloquente: in una scala di valori che va da “mia madre mi ha beccato che ho fatto sega da scuola a sto vivendo un momento di intimità,” Pine si attesta sul valore fuori scala “ sto vivendo un momento di intimità ed è entrata la nonna col prete.”
“Ti presento il nostro direttore, Pucci mio bello: Andrew Abelardo Birch,” dice orgoglioso Roper.
Il fu Jonathan Pine sfodera il sorriso da venditore di tappeti fintissimo che era solito sfoggiare quando era un onorabile e rispettato night manager e si presenta festante a quel cretino di Hamid. “Piacere Freddie, sono Jonath, ehm, Andrew Birch,” dice il nostro brillante eroe.
Per fortuna, però, Freddie Hamid è deficiente ancora più di quanto non ricordassimo. Abbigliato, al solito, come un giostraio che gestisce anche un bordello – gliel’avrà venduta lui, la veste da camera triste, a Roper? – fissa Pine cinque minuti. “Benvenuto a Il Cairo,” dice. “Ci sarà da divertirsi.”
“Oh, non vedo l’ora,” risponde Pine con l’entusiasmo di un venditore di auto usate del Texas.
“Bene, vogliamo andare?” domanda quel cretino di Freddie auto promuovendosi Cicerone del gruppo. La nostra volpe furba più di una volpe furba, frattanto, se la ride sotto i baffi. Nella sfiga, difatti, è fortunato: le capacità intellettive e la memoria di Hamid sono pari a quelle di un trilobite sotto acidi, e nessun rischio minaccia la spia più bella da qui a Alpha Centauri.
La solita sfilza di macchinoni neri chiaramente da villain arrivano a casa Hamid. Ovviamente Freddie conta meno di paio di scarponi da neve ad agosto, e subito Roper si interfaccia in maniera gangster col di lui babbo.
Costui chiede qualche delucidazione sulla mercanzia, che Pine, da bravo scolaretto, fornisce subito puntuale. Roper rivela che le armi, stavolta, sono tenute in un deposito in periferia. Il pagamento è per metà a rimessa diretta, per l’altra metà alla consegna. Tra quarantotto ore. Insomma, un vero affare, soprattutto se c’è quel figo di Pine che preme per l’acquisto.
Conquistati dal fascino della nostra volpe e dalla necessità, i ricchissimi Hamid – ad eccezione di Freddie, che è a giocare con le papere in giardino, si decidono a pagare. Longbourne si scuote dall’apatia e avvicina il portatile a Pine, ma Hamid senior lo interrompe.
“Un momento. Mi è stato riferito un incidente tra militari elfici al confine con un posto orrendo,” dice serio in volto. “Vorrei che mi assicurasse che non c’è nessun rischio riguardo a questa operazione.” Bisogna capirlo, ad Hamid Senior. Con quel cretino del figlio è un attimo che la pecunia vola via, e lui ha appena pagato l’IMU e la TASI.
“Può darmi questa garanzia, signor Roper?” insiste Hamid senior mentre Freddie origlia come un bambino di cinque anni.
A Roper girano le scatole come se l’avesse morso una biscia. “È stata un’inezia, un contrattempo privo di significato,” si giustifica, “abbiamo individuato la fonte, la questione è risolta. Le do la mia parola,” conclude solenne.
“Vabbè,” dice Hamid senior. Parte il solito teatrino con la scannerizzazione dell’iride un po’ grigia, un po’ verde, un po’ blu, insomma boh, di quel figo di Pine/Birch che, ricordiamolo, proprio non sa firmare in maniera maschia, e i loschi acquirenti completano la transazione. Siccome la banca è user-friendly, la transazione avviene in un attimo, sotto l’occhio preoccupato di Jonathan. Del resto, siamo giunti all’ultimo episodio, è ora che l’Impero del Male di Roper termini.
Jonathan Pine prosegue il Ritorno a Cold, ehm, al Nefertiti Hotel
La sera, ovviamente, si festeggia. Mentre la menagrama moglie di Sandy ammorba Jed raccontandole dei fotoromanzi di quando era giovane, irrompe il fascinoso ed elegante Jonathan.
“Bevete qualcos’altro, signore?” domanda allegro.
La menagrama muggisce un no, mentre Jed, al solito, fa uno dei suoi teatrini pericolosissimi. Prima gli sorride. Poi abbassa il capo. Poi lo fissa. Poi ci manca che disegni cuori e gli infili nelle orecchie un paio di cuffie con su dentro Reality di Richard Sanderson e il Tempo delle Mele è fatto.
Dato che a due passi ci sono Richard l’Alce e Langbourne la felce, Pine agisce da spia furbissima qual è. “Sorridimi, ridi,” dice svelto.
“Raccontami una barzelletta,” dice Jed confermandosi ancora una volta come l’unico, insormontabile ostacolo tra la nostra volpe furba più di una volpe furba e la riuscita della missione.
Pine scoppia a ridere. “Ci sono un italiano, un inglese e un tedesco,” inizia ad alta voce.
“Non ce la faccio più Jonathan, non ci riesco,” soffia Jed di nuovo triste e melanconica.
“Ma non l’ho nemmeno iniziata!” protesta il nostro eroe, che è figo e bello e sa anche raccontare barzellette. Ovviamente.
“No. Non posso più andarci a letto,” specifica seria Jed.
Mi ci manca questa, adesso, pensa Pine cui si congela, per la millesima volta, il sorriso sulla faccia. E siamo solo all’undicesimo minuto.
“Lo devi fare,” dice con la faccia bloccata in una mezza paresi. Già si vede legato come un salame sotto a una vasca piena di coccodrilli affamati.
Ma Jed che, sfortunatamente per il nostro eroe, non ha il senso della realtà, lo fissa seria in volto. “Scappiamo adesso, solo noi due.”
Certo. Così poi vi ritrovate Roper inferocito e, cosa ancora peggiore, Angela Burr in modalità fuoco e fiamme. Una soluzione ottima, ragazzi, davvero.
Visto che la logica e Jed viaggiano su rette parallele, Pine prova un’altra strategia: “non si tratta solo di noi due,” dice sfiorandole la mano, e sarebbe pronto a rallegrarci con discorsi sul patriottismo e l’onore, ma un’occhiata guardinga di Roper, cui prude la testa, lo interrompe. “Ahh bella questa,” ride a caso.
Una volta che Roper s’è nuovamente girato, Jonathan riattacca. “Ieri sera è arrivato un corriere,” continua sorridendo come Yzma, “ha portato i documenti di consegna.”
“È in cassaforte,” dice in fretta lei.
“Sai la combinazione?” spera Jonathan.
“Te la procuro,” promette lei, che avrebbe potuto memorizzarla, ma tant’è.
“Fa’ attenzione,” le raccomanda il nostro fascinoso eroe sfiorandole lieve la schiena – gesto che viene osservato da Roper, che però regala alla coppietta la solita espressione da lobotomia che ci rende difficile decidere se ci fa o c’è. Poi, fedele alle indicazioni del suo spirito guida James Bond, ordina con fascinosa eleganza un vodka martini.
È notte. La regista, Santa Susanne Bier, ci regala l’ennesima inquadratura assolutamente inutile ai fini della trama ma essenziale per lo spettatore. Pine, a letto seminudo, strategicamente coperto dal lenzuolo, fissa sconsolato il soffitto e sospira.
Nello stesso momento, uno che sta dormendo il sonno dei giusti, è l’Elfo Americano. Riportato subito all’ordine dopo il tentativo di insubordinazione della scorsa puntata, dorme su una comoda sedia mentre Angela sta sveglia e spaparanzata sul letto a tre piazze. Eh sì, il magnifico duo, signori lettori, è a Il Cairo.
La giornata si apre decisamente male con la menagrama intenta a bere the e a rimuginare sulla sua triste esistenza. Per fortuna quel raggio di sole di Pine interviene a salvare lo spettatore.
“Sei già in piedi,” osserva l’ovvio.
“Si va a fare shopping,” dice allegra e ironica Lady Langbourne. “A quanto pare i tappeti non bastano mai. Ma guardati! Il perfetto adepto di Roper. Come cambiano, le cose,” dice facendo calare nuovamente la tristezza sulla sala.
“Anche se non per tutti,” osserva giustamente Pine, osservando la nuvola del cattivo tempo stazionante sulla menagrama. E ha ragione: Caroline appesto rompiballe era e appesto è.
“Io sono la moglie prodiga richiamata all’ordine,” sorride in maniera isterica lei. Pine, a questo punto, spera in qualsiasi cosa. Che gli si apra il terreno sotto i piedi per inghiottirlo, che Boba Fett lo imprigioni nella grafite a causa di quella vecchia storia del debito con Jabba e dell’armata persa dei Chitauri, che Hulk lo sgrulli come un tappeto, appunto. Basta che la megera taccia, insomma. Ma non succede niente, e Pine deve proseguire.
“Richiamata da chi?” domanda di nuovo l’ovvio.
“Roper mi ha fatto una proposta. Lasciamoci tutto alle spalle, ritorna all’ovile. Galante da parte sua,” osserva compiaciuta. Sta per aprire la borsetta e mostrare a Jonathan le analisi del sangue e altre amenità che al nostro non interessano nel migliore dei casi, ma la nostra volpe furba più di una volpe furba, che la sabbia del deserto rende più sveglia del solito, fa una deduzione che Sherlock Holmes (sia Benedict che Robert) gli spiccia casa.
“Può darsi,” ammette, “come può darsi che gli servi per spiare la sua ragazza,” osserva nel preciso esatto momento in cui Jed si palesa. E sente tutto. E si siede con aria inferocita di fronte alla megera, che rivolge a sua volta un’occhiata di odio a Pine che ammonisce Jed. “Sta attenta,” le dice, “il sole picchia forte e non ci sono più le mezze stagioni.”
Ora, se pensate che questo atto sia un poco, come dire, temerario, dovete tenere presente che la nostra polla Jed è la stessa imbranata che ha chiamato Jonathan nel cuore della notte da casa di Roper a Istanbul. Le probabilità che raccontasse alla menagrama della sua nuova fiamma come nemmeno nella posta del Cioè non erano tanto scarse.
“Caroline, è vero?” domanda l’ovvio – le è presa pure a lei, Jed.
Lady Langbourne sospira. “Sì,” ammette. “Non mi avrebbe più fatto vedere i bambini,” la butta al solito sul pietoso da brava menagrama d’una menagrama qual è.
“Lo detesto,” soffia Jed. È lo spirito giusto, ragazza.
L’elfo Americano, frattanto, blocca Pine fingendosi ventriloquo. “Un messaggio da Londra,” gorgoglia.
I due si infilano, non visti, nell’ascensore dell’hotel e da qui, come sempre, scivolano nelle stanze riservate ai poveri. Ed ecco che, finalmente, Angela rivede il suo pupillo, il suo Big Jim, la sua creatura. E sorride.
“Non pensavo che saresti venuta,” soffia Pine neanche la Burr fosse sua nonna malata che l’ha raggiunto il giorno della sua laurea.
“Ah, uomo di poca fede,” dice lei e i due si abbracciano. Siccome, com’è come non è ma gli abbracci con Tom Hiddleston nei film durano sempre un po’ più del dovuto, l’Elfo Americano che scemo non è li interrompe.
“A dire il vero sono stato io a convincerla,” puntualizza con scomoda precisione, beccandosi un’occhiata di odio di Angela.
“Ma allora gli Elfi esistono!” sospira di gioia Pine, “noi non ci conosciamo, ma ho sempre scritto a Babbo Natale, il tuo capo,” specifica l’astuta spia.
“Ti porteremo solo carbone quest’anno,” l’ammonisce quello. “Io e la renna Rudolph temiamo che tu faccia il doppio gioco.”
Pine prova a sfoderare la sua arma invincibile, quella che l’ha fatto arrivare sano e salvo fin qui. Il fascino, e gli occhioni, stupendamente grigi, verdi, azzurri, insomma boh.
“Che è successo?” domanda sbattendo le ciglia.
“Una fuga di notizie,” replica torvo l’Elfo.
“Da parte vostra, non da parte mia,” specifica Pine, cui Loki, il fascinoso dio degli inganni, ha insegnato “negare sempre, ammettere mai.”
Poi scuote la testa. Eh, se non ci fosse lui questo ufficio chiuderebbe. “Ho ucciso un nano da giardino per rimediare,” spiega.
“Corchoran!” esclama la Burr. “Jonathan, se vuoi ti tiro fuori immediatamente,” dice preoccupata. Sarebbe proprio uno spreco, se al nostro eroe capitasse qualcosa.
“No, siamo ad un passo” insiste Pine utilizzando la tecnica degli occhioni come se non ci fosse un domani.
“Non sono più a capo di un’organizzazione, Qui Quo e Qua in quanto giovani marmotte, hanno più autorità di me,” l’avverte la Burr.
“Un elfo cow-boy e una donna incinta, ecco il tuo esercito,” osserva sconsolato l’Elfo, appunto, infilandosi un cappello da sceriffo.
“Se le cose si mettono male, non so se riuscirò a tirarti fuori,” spiega la Burr per la terza volta corredando il tutto con un disegnino esplicativo di Pine legato come un salame da Roper e dato in pasto agli alligatori.
Ma Jonathan Pine, signori lettori, è un eroe vero. Non a caso gli è apparso James Bond in sogno. Certo, la sua missione non è difficile come quella di Michael J.Fox/Marty McFly, che doveva tornare al 1985, ma ricordando l’astuto Levi Strauss e intonando Johnny be Good trova la forza. “Prima vivevo una vita a metà. Non ho niente da perdere. Ma mi servirà il vostro aiuto,” dice.
L’elfo annuisce, vittima anche lui degli occhioni di Pine.
“D’accordo. Lo possiamo fare,” concede Angela.
Jonathan Pine e la mission impossible
Ma che ne sanno, Roper e i suoi scagnozzi, di quanto è furba la nostra volpe furba più di una volpe furba! Jonathan, accompagnato da una musica trionfale, si inoltra per sentieri noti a uno solo, in verità. Ta daaan! Le cucine del Nefertiti Hotel.
“Dov’è la mia insalata mista!” urla quello che nel primo episodio della parodia neanche avevamo nominato, il lavapiatti amico di Pine che ora, dopo anni di soprusi, è finalmente diventato chef.
E, dopo due giorni, dopo aver girato per l’hotel dove ha lavorato per anni senza che un solo individuo lo riconosca, finalmente il cuoco strizza gli occhi e lo riconosce, ma lesto Jonathan gli fa segno di reggergli il gioco.
“Sto cercando Giosuè,” dice Pine che invece non riconosce il meschino e misero lavapiatti nelle splendenti vesti del capocuoco.
“Mi dicono che tu conosci il segreto per fare la bruschetta,”esordisce.
“La bruschetta?” gli fa eco il cuoco.
“Eh. Ne possiamo parlare?”
“Lei vuole parlare della bruschetta?” ripete nuovamente Giosuè. Ecco perché lavorava fin da ragazzino e non aveva finito nemmeno le elementari. Continua a fissare perplesso Pine, facendoci sospettare che al Nefertiti tutti facciano uso di stupefacenti che cancellano la memoria o che so io, ma poi sospiriamo sollevate. I due si fanno un segno, sono d’accordo. Lasciano le cucine, dove occhi indiscreti potrebbero spiarli e, finalmente, si abbracciano gioiosi.
Dopo i convenevoli ed essersi informato se la nostra spia si ricorda ancora tutte le parolacce che gli ha insegnato, Giosuè si appresta ad ascoltare l’amico di sempre.
“Tuo fratello Asdrubale è ancora operativo, sta bene?” domanda spiccio, che mica stiamo a pettinar le bambole.
“In che senso operativo?” nicchia il cuoco.
“Lo sai, lo sai,” dice Pine.
“Fa sempre le solite cappellate,” risponde Giosuè contrito.
“Devo parlare con lui,” spiega Pine.
Ebbene sì, amici lettori. Ora non sono più tre gatti contro Roper. Sono quattro. O forse cinque.
Nelle prossime puntate.
Dove Jonathan Pine e la sua squadra di disperati provano ad affrontare Sua Malvagità in persona. Riusciranno ad impedire l’ennesima vendita di Roper? Riusciranno a sfuggire alle grinfie degli Hamid? E a non scottarsi al sole? Lo scopriremo il prossimo mercoledì.
N.d.A.
Ed eccoci al penultimo appuntamento, signori lettori. Un grazie alla Cicala Sara, infaticabile lettrice della parodia, a Roby, Franz, Emi e tutte le lettrici che condividono con noi Cicale la perdita totale di sanità mentale di fronte a quel figo di Tom Hiddleston. O a chi, semplicemente, passa di qua e si fa quattro risate. A voi tutti i miei più sentiti ringraziamenti. Questa parodia è dedicata a tutti voi.
Claudia