Attenzione: la visione di quel figo di Tom Hiddleston nei panni di Jonathan Pine, provoca dipendenza. Per evitare le crisi d’astinenza che potrebbero sopraggiungere in caso non si guardi a rotazione la filmografia del suddetto attore britannico, si invita alla lettura di svariati articoli presenti su questo blog, altrove e all’ausilio di gruppi di sostegno.
Nelle puntate precedenti: Jonathan Pine, night manager in hotel di lusso figo come pochi, s’incontra/scontra con i traffici del losco Roper, trafficante d’armi. Assunto come stagista non retribuito dalla tostissima Angela Burr, inizia la sua vita di agente sotto copertura prima nel Devon, dove spaventa a morte pecore e pastori, poi a Maiorca: qui, fingendo di salvare quel tenerotto di Danny Roper, conquista il di lui padre, Sua Malvagità in persona. Grazie allo sguardo Ammazza Cicala e al fascino indubbio, ammalia non solo il perfido trafficante, ma si fa notare anche dalla fidanzata modella di questi, Jed. Adottato ufficialmente col nome di Abelardo Andrew Birch, Roper gli spalanca la strada per diventare un ottimo Mega direttore testa di legno.
The Night Manager episodio 4 parte 1: Jonathan Pine il rubacuori
Ogni mattina Jonathan Pine si sveglia e sa che dovrà essere più furbo di Roper per non farsi beccare. Ogni mattina Roper si sveglia e sa che dovrà essere più furbo dei servizi segreti che ancora non s’è comprato, se non vuole marcire in gabbia. Ora, non importa se tu sia più Jonathan Pine o Richard Roper: l’importante è che tu sia furbo e ti veda i film di Michael J. Fox.
Spostiamoci un attimo dall’isola di Maiorca, dove svetta la per nulla vistosa villa di Sua Malvagità e veleggiamo con la fantasia nelle pianure del Serengeti, tanto care a Piero Angela. Ci siete? Bene. Li vedete quei grossi felini laggiù? Ok. C’è il vecchio leone con tutte le sue leonesse di fianco che controlla il suo territorio. Ad un tratto, dalla savana, spunta un esemplare più giovane, che sfida il vecchio spelacchiato e gli toglie le femmine. Questo semplice schema, signore e signori, è un leitmotiv vecchio come il mondo: il giovane rampante frega la donzella da sotto al naso all’anziano detentore del potere.
Poteva essere da meno la nostra volpe furba più di una volpe furba? No ovviamente, anche perché contravverrebbe alle regole presenti nel “Vademecum della Perfetta Spia Fascinosa, seconda Appendice.”.
“Qual è il trucco? Com’è che ti intesto un’azienda?” domanda Richard Roper cui da bambino piacevano un sacco i giochi di magia e gli indovinelli a Pine. “Mi serve un uomo di paglia e, senza offesa, quello saresti tu, Pucci” spiega Sua Malvagità.
“Tu sei Andrew Abelardo Birch. Hai un grande progetto e sei un figo. Sei bello, sei intelligente, hai questi occhi cangianti che fanno svenire le signore. Forse abbiamo fatto già affari insieme, forse no, forse sono svenuto anche io di fronte ai tuoi occhi blu, verdi, grigi, che ne so. Comunque diciamo alle banche che vendi trattori, e quelli ci danno i soldi perché noi gli raccontiamo che in quattro mesi raddoppi il capitale che ti hanno dato. Registriamo la società a Cipro, il conto lo apriamo a Ginevra, il rendiconto ed il bilancio non lo dobbiamo fare, che ci frega. E, in tutto questo, tu sei la mia diva. La mia star, l’attore principale, Pucci.”
Jonathan ascolta, bello come un raggio di sole dopo un’Apocalisse Zombie, con gli occhi verdi che neanche un gatto puccioso, e Roper, gasatissimo, va avanti. “A nessuno importa una fava di quello che vendiamo e compriamo veramente, fossero pure cuccioli d’unicorno. L’unica cosa che interessa loro sono i soldi. Se sapessero le sozzate che facciamo, non ci dormirebbero la notte. Ma quelle, Pucci, le sapremo solo tu ed io.”
Pine sorride soddisfatto di fronte all’entusiasmo del commosso malvagissimo ma ecco che, a turbare questa riunione virile e maschia, entra Jed. “Cucù, tesoruccio,” dice allegra.
“Ti ho detto che quando gioco alla play e parlo di lavoro non mi devi disturbare,” le ricorda Richard con tono scocciato. Jed si avvicina e alza un sopracciglio. “Parli di lavoro con Thomas?” s’impiccia.
“Pucci non si chiama più Thomas. Si chiama Andrew Abelardo Birch, ed è dei nostri,” spiega Sua Malvagità tra i denti. “E ora, se sloggi…”
Ma Jed non raccoglie l’invito ad andarsene del fidanzato, e squadra ironica la nostra volpe furba. “E io, che non faccio parte della combriccola, come devo chiamarti? Pucci? Thomas? Abelardo?” domanda. Poi, per essere fastidiosa ancora più di una zanzara, attacca la filippica sul bambino. “Tuo figlio sta partendo,” dice, “non lo accompagni all’aeroporto?”
Gli affari sono affari, la play pure, e Uncharted 4 è già nella console, e Richard non ha nessuna intenzione di rimandare la sua partita. Baby Rooper spunta a questo punto nello studio del padre, zainetto in spalla e scarabocchio alla mano. “Guarda babbo, ti ho fatto un disegno” esordisce il nanerottolo sventolando un acquarello triste.
“Mio figlio: un pittore,” esclama rapito da cotanta bellezza Roper, mostrando la presunta opera d’arte a Pine e al pubblico impietrito. Perché, di tutte le cose che il ragazzino poteva disegnare nella villa e nell’isola del padre, tra tutte le piante, bestie, oggetti presenti, il marmocchio ha scelto proprio quel vasetto triste che Jonathan ha piazzato in camera di Roper. Nonostante gli occhioni da Gatto con gli Stivali di Danny, Sua Malvagità lo ammolla a Jed ché la partita a Uncharted 4 proprio non può essere rimandata.
“Ciao, papà. Ciao Thomas,” si accomiata il bambino.
“Non è più Thomas,” puntualizza Jed che questa cosa del cambio di nome della nostra volpe furba proprio non l’ha digerita, “adesso è Andrew. Ma io sono sempre Jed e tuo padre è sempre tuo padre,” aggiunge in fretta di fronte all’espressione carica di odio puro di Roper.
Madrid, Spagna. Juan, l’avvocato cafone con un gusto pessimo, entra nel ristorantino romantico dove ha prenotato una cenetta a lume di candela insieme alla sua fidanzatina ma, ad aspettarlo, anziché una morettona tutta curve si trova Angela.
“Come ti senti, dopo aver tradito sua Malvagità?” s’informa lei.
“Da schifo. Non dormo più la notte e tu, come confessore, fai veramente schifo,” sputa lo spagnolo.
“Una buona azione alla volta,” risponde Angela tirando fuori i piani malvagi di Richard che Pine le ha spedito. “Che cos’è questa roba?”
Juan sbianca. “Come hai fatto ad avere siffatto materiale? Che per caso hai un infiltrato?” domanda lo spagnolo colpito.
“Bada ai fatti tuoi e traduci, o sono cavoli,” ordina la tostissima.
Ci spostiamo nell’amena isoletta dove sorge la mega villa di Sua Malvagità. Le cicale (quelle vere) friniscono, soffia la brezza notturna, ma il nostro Jonathan non dorme.
Pensa alla licenza di uccidere e alla pianta di ficus che vorrebbe nel suo prossimo ufficio ma, ad un tratto, si sveglia di soprassalto. Un rumore sospetto ha allertato i suoi sensi felini.
Lesto, si alza e prende dall’angolo cottura un coltellaccio per squartare i polli; si avvicina alla porta, la spalanca e un’ombra scivola nell’appartamento.
“Per la barba di Odino!” esclama Jed con un coltello puntato alla gola.
Eh. Mica la si può fare così, alla nostra spia più fascinosa del sistema solare. Pine non è solo un ex portiere di notte e un figo spaziale, è anche un ex soldato decorato, ricordate?
“Che ci fai tu qui?” domanda terrorizzato pensando agli scritti di Pietro Abelardo.
“Non riuscivo a dormire,” miagola lei in una delle sue solite tuniche scure che farebbero sembrare noialtre delle mendicanti sciatte.
“E non ti potevi fare una camomilla a casa tua?” pensa Jonathan Pine; è vero che l’apparizione mistica di James Bond gli ha ricordato che tra i primi doveri di una spia fighissima che si rispetti c’è quello di avere una relazione con tutte le belle donne della storia, e Pine sta già a due su tre, ma è anche vero che, come Bond ci insegna, ciò va fatto in maniera intelligente. E alla nostra volpe furba più di una volpe furba, far entrare dentro casa sua Jed di notte nell’isola di Roper non pare proprio una grandissima idea.
“Nessuno mi ha vista,” puntualizza lei sciantosa come suo solito, notando le perplessità dell’astuto ex- night manager.
“Il fatto che tu non abbia visto nessuno non significa che nessuno abbia visto te,” soffia Pine recitando una delle massime trovate nel bignami “Spia perfetta dalla A alla Z.”
Poi, siccome le sinapsi sono ancora scollegate, Pine tira fuori il cellulare che ha fregato a Baby Rooper e mostra alla stanga la foto di un bimbetto biondo come lei. “Chi è?” domanda.
A Jed trema il labbro superiore, chiaro segno di instabilità emotiva. È mio figlio, l’ho avuto a diciassette anni, vive con mia sorella che ha già una casa e una famiglia,” piagnucola. Del suo racconto straziante ciò che colpisce è che l’orribile megera in vestaglia non sia la mamma né la nonna o una zia acida, bensì la sorella della nostra modella. Ora, o le due sono sorelle come Gaston e il gemello sfigato, oppure il pool genetico di Jed unisce ad una fiorente bellezza in gioventù un calo preoccupante e drastico dopo i trenta.
“Roper lo sa?” domanda Pine con improvvisa apprensione.
“Non avrebbe dovuto saperlo,” frigna quell’altra e, all’occhiata storta del nostro eroe, spiega in fretta le motivazioni. “Non era compreso nel pacchetto che ha acquistato nell’Upper East Side,” aggiunge. “Non vedi? Io sono giovane e bellissima.” E modesta.
“Ah, è vero” commenta Pine. Dato che è inglese, per ingannare il tempo e rompere l’imbarazzo mette su l’acqua per il the.
“Che ci facevi nello studio segreto di Roper?” chiede la donna.
“Lo stesso che ci facevi tu,” risponde svelto quella volpe furba più di una volpe furba di Pine. Specchio riflesso. “Prendevo informazioni sull’uomo per cui lavoro.”
“Io non lavoro per lui,” puntualizza la modella. “Io lo amo. Tu che cosa vuoi da noi?” domanda sbattendo i ciglioni alla Twiggy.
“Mah, veramente da voi proprio niente,” confessa Pine. “Non sono la tua via di fuga,” dice intuendo che la bella gli si vuole appioppare come se non ci fosse un domani.
Ed eccoli, i due bellissimi, uno di fronte all’altro: Jed guarda Jonathan, Jonathan guarda Jed. Sono vicini, vicinissimi: la tensione ed il desiderio danzano nell’aria, i volti quasi si sfiorano. Resisterà il nostro eroe? Impalandosi davanti alla porta come uno stoccafisso sì, senz’altro.
“Che devo fare?” soffia la modella avvicinandosi al nostro fascinoso Pine.
“Gira i tacchi e tornatene a casa tua,” suggerisce la nostra spia cui sta lentamente tornando alla mente quella storia che deve indagare su Roper. “Ma fatti vedere, non fare la losca, sennò passiamo dalla padella alla brace. E poi, per favore, sii carina lui. Fallo felice.”
Ora, Jed proprio cretina non è. Chissenefrega se Pine ha ipotizzato che lei stia con Richard per il vile denaro. Chissenefrega se, anziché inginocchiarsi innamorato al suo cospetto, le ha detto spiccio di andarsene. “E quando mi ricapita questo figo così figo?” pensa e, lesta come se fosse alla Rinascente sotto i saldi, stampa un bel bacio sulle labbra al nostro eroe.
“Perché sei venuta qui?” domanda quel figo di Pine che, anche in tenuta notturna, è proprio fascinosissimo.
La bionda, anziché ammettere i suoi adulterini propositi, fa la parte della donzella smarrita. “Non lo so,” soffia Jed toccando le labbra come se, che ne so, l’avesse baciata tipo Tom Hiddleston.
Ci spostiamo a Londra. È mattina e Rex, capo di Angela, si sta recando ogni mattina al lavoro in bici. Sfreccia tra le vie della capitale britannica col suo caschetto bianco e il completo gessato. Mentre pedala felice, quest’uomo dall’aspetto bonario di un Ewok, viene ad un tratto stretto tra due loschissimi furgoncini bianchi.
“Mi vogliono ammazzare!” realizza dopo un quarto d’ora d’inseguimento in cui non si capisce perché e come i guidatori dei due malvagi Fiat Fiorino (in realtà sono Volkswagen, ma permettetemi questa licenza poetica), non riescano proprio a mettere sotto Rex. Dopo aver rischiato la vita tre volte e aver bestemmiato tutto il calendario, l’uomo riesce ad infilarsi in un parco pubblico e a sfuggire alla trappola mortale.
Giunto in ufficio, chiama subito a rapporto Angela. “Mi volevano fare secco!” si lagna l’uomo. “Ti triplico il budget, ti do carta bianca, evidenziatori nuovi, tre scatole di graffette e due calendari. Ma ferma Roper!” intima.
Angela, che è proprio tosta, spiattella al capo i nuovi documenti supersegreti che quel figo di Pine le ha rimediato. “Guarda qua,” dice, “che bella roba che abbiamo. Sai chi sono Halo e Felix?” domanda con un sorrisetto furbo.
“Un gioco per PC e un gatto?” domanda Rex che si trova nella sua prestigiosa posizione di comando perché l’ha vinta alla tombolata natalizia dell’azienda.
Maiorca, Spagna. Quest’episodio è tutto così, i personaggi girano come trottole. Sua Malvagità torna nella sua per nulla appariscente villa megagalattica che si affaccia sul mare, disegnata sul modello di un tempio Maya. Appena scende dalla macchina assieme ai suoi fidi scagnozzi, Corki subito si precipita da lui.
“Come è andato il viaggio?” domanda apprensivo e con gli occhi speranzosi.
“Due palle,” risponde Roper. “Che ti aspettavi? Sono stato tutto il weekend con dei banchieri svizzeri.”
Di fronte all’immane delusione dell’ometto, Sua Malvagità infierisce come ogni super cattivo che si rispetti fa con il suo sottoposto inetto. “Non ti ho portato la palla di neve, se è questo che volevi,” ribatte secco. “Pucci!” chiama estasiato ignorando quella povera anima in pena di Corki, “hai fatto i compitini?”
“Mah solo qualche esercizio,” nicchia la nostra spia preferita sbucando dalla vegetazione.
“Bravo Pucci, poi ti interrogo,” dice allegro. “Dov’è Jed?” s’informa grattandosi le protuberanze che gli sono fastidiosamente cresciute sulla testa nel frattempo.
“Ehm, boh, non l’ho vista quasi per niente,” borbotta Pine.
Ma ecco che Jed fa il suo ingresso, avvolta nel solito caftano mezzo trasparente. Roper la guarda con occhi innamorati. “Scusa,” dice Sua Malvagità dimostrando che si può essere, allo stesso tempo, spietati villain e zerbini.
“Scusami tu,” dice lei serissima appiccicandoglisi. “Lascia che ti mostri quanto mi sei mancato,” soffia stampandogli un bacio. E qui, Lettore caro, Jonathan Pine rosica. Ma di brutto. Talmente tanto che Corki lo fissa, si gratta il mento e comincia a fare due più due.
“Pucci! Tra un’ora nel mio ufficio,” fa il gradasso Sua Malvagità, il cui trucco, non scordiamocelo, risiede in quelle pilloline blu che tiene nel comodino. La coppietta si allontana verso casa, e Pine è sempre lì che rosica.
Ma ora, Corki sa. Sarà che ha letto il libro di Le Carrè, sarà che quel gran figo di Jonathan piace un sacco anche a lui, fatto che sta che ha percepito la chimica tra i due, e quell’occhiata di Pine non gli è sfuggita. Così lo insegue e gli si accosta, mostrandoci una volta di più la sua preoccupante bassezza.
“E così ora sei dei nostri,” inizia saltellandogli a fianco, “e ora che il nanerottolo è tornato dalla mammina, cominceremo a lavorare seriamente come i bravi trafficanti d’armi che siamo.”
Pine assottiglia gli occhi, e impiega due minuti buoni a capire che il Colonnello (o maggiore, non ricordo), non sta parlando di sé in terza persona, ma del bambino.
“Sai,” continua Corki, “Padron Richard è un uomo romantico e fascinoso. Tu gli piaci proprio tanto, Pucci. Dopo che hai salvato il figlio, poi, sei intoccabile: sei un incrocio tra Beyoncè, il Gatto con gli Stivali e Indiana Jones per lui.”
“Uhm,” pensa Pine soddisfatto.
“Ma io sono più concreto e intelligente, e ho riconosciuto la tua vera infida natura: tu, dietro quegli occhioni fascinosi e sotto i pettorali che sfoggi, sei una serpe malefica, ci stai ingannando tutti: sei Loki!” esclama puntandogli il dito contro.
“Loki è bello quanto me,” concorda Pine, “ed è fascinoso come me, ma ha i capelli scuri. Ti sbagli, hobbit,” soffia la nostra volpe furba più di una volpe furba. La sabbia del gatto, gli doveva far mangiare.
“Come ti pare, ma immagini cosa farebbe Padron Rooper se sapesse che te la fai con la sua ragazza?” insinua ancora l’ometto. “Vi ho visti, che ti pensi? Lei a piedi nudi che cammina di notte sulla spiaggia e raggiunge il casotto dell’eroe. I due bellissimi si incontrano al chiaro di luna… sembra l’incipit di un romanzetto rosa, non trovi?” prosegue Corki. Come fa a saperlo? Anche lui, difatti, tentava di raggiungere la modesta dependance sulla spiaggia, ma le sue corte gambette nulla hanno potuto contro l’incedere da dea di Jed.
“Le ho dato solo un po’ di zucchero,” bofonchia la nostra spia maledicendo mentalmente quella cretina di Jed.
Ma Corki desume che Pine non abbia capito bene la portata della situazione, o forse capisce il doppio senso della battuta perché era un grande fan di Bruce Campbell, e allora insiste. “Padron Rooper ama Jed,” spiega l’ometto, “sai cosa farebbe al suo bel faccino se sospettasse che tra voi è scoppiato l’amore? Non te ne frega niente, di lei?” domanda. Ora, diciamocelo: è la strategia sbagliata. Più l’hobbit si ostina a ribadire quanto possa essere oggettivamente stupido e pericoloso intrattenere una liason con la stanga, più Pine desidera immensamente coronare il suo sogno d’amore con lei e, anziché ribadire una volta di più la sua estraneità all’intera faccenda, Jonathan sgrana gli occhioni. “Sì che m’importa!” soffia disperato.
Chiamatela sindrome di Lancillotto e Ginevra, chiamatela becera attrazione per il proibito, fatto sta che ormai la nostra volpe furba s’è presa una sbandata per la ragazza di Roper che neanche a tredici anni.
Pine, ma come ti vesti?
Sebbene Jonathan sia figo anche con un saio da frate addosso, per la sua recita zio Roper vuole che sia al meglio del meglio: quindi, come in qualsiasi film sulle adozioni che si rispetti, per prima cosa gli fa fare un guardaroba nuovo. Via quegli stracci raccattati chissà dove che però gli calzano così bene: c’è bisogno di un sarto per trasformare Andrew Abelardo Birch nel piccolo Lord.
Jonathan vi si presta con imprevista soddisfazione. Sorride compiaciuto del riflesso allo specchio e lascia che Roper gli ordini una lunga serie di completi che dovrebbero indicare la grande cultura di Sua Malvagità in fatto di moda: principe di galles, fagiano, blu cobalto, Il momento di ilarità si verifica al momento del pagamento.
“Metto tutto sul suo conto, Mr. Roper?” domanda il sarto.
“No no,” si affretta a rispondere Sua Malvagità. “Paga il signor Birch.” La nostra spia furba più di una volpe furba tuttavia, non ha (ancora, speriamo) l’armamentario super tecnologico dell’ispettore Gadget o di James Bond. Angela Burr, come equipaggiamento, gli ha dato un pizzicotto sulle guanciotte e un buono da dieci euro della Esso, che buttalo via.
Ma Sandy, che senza moglie rompi maroni al seguito è rinato, gli lancia lesto un portafoglio di pelle dentro cui spicca una carta di credito a nome Andrew Birch che, miracolosamente, passa. Perché il sarto di Sua Malvagità, se ve lo state chiedendo, è un imprenditore a tutto tondo. In valigia, assieme al metro, ha ficcato il pos. Di più, è rapidissimo. Confeziona decine di abiti nel tempo record di trentasei ore, facendovi venire l’ovvio sospetto che usi manovalanza sottopagata e sfruttata.
Tutti pazzi per Jonathan Pine
Palma di Maiorca, la sera prima di partire verso la Turchia, sede dei loschi traffici di Roper. L’allegra combriccola di trafficanti fa l’aperitivo su un ristorante sciccoso sul mare.
“Questa sera, dopo un’abboffata di pesce ed aver condiviso con la mia morosa i piaceri della carne,” esordisce Sua Malvagità che, giunto ormai alla soglia della mezza età, non può fare a meno di dimostrare in giro di essere ancora il maschio alfa, “partiremo alla volta della Turchia per lavoro, e ci porteremo appresso quel figo di Pucci. Guardate com’è bello!” esclama compiaciuto.
Tutti brindano entusiasti alla volta del nostro fascinoso infiltrato, tranne quel rompiballe di Corki, che ha la sbronza triste. Mentre il gruppo si appropinqua affamato come un branco di lupi alla tavola, Jed si avvicina a Pine con nonchalance.
“Dove vai domani?” domanda col labbro che le trema. Con Pine ha scambiato solo un bacio e qualche miliardo di occhiate languide e, nonostante stia oggettivamente con Roper, è diventata gelosa marcia della nostra fighissima spia.
“Ah, e che ne so,” risponde il nostro che, come al solito, si crogiola nel vedere come tutte le donne – e non solo – gli caschino ai piedi come pere mature.
L’allegra combriccola si siede al tavolo, e partono le ordinazioni. Roper chiede l’antipastone misto, che così tutti mangiano e poi dopo si paga alla romana, ma quella rompiballe di Jed fa l’outsider. “Posso avere un’insalata di aragosta?” domanda.
“L’abbiamo finita,” confessa il cameriere. Scatta la tragedia. Corki impazzisce. Fa il verso al povero lavoratore, insulta lui, lo chef e tutto il personale fino alla settima generazione antecedente, mentre Jed prova a smorzare la situazione ordinando pasta e fagioli. Che volete farci, quando si deve peccare, è meglio peccare bene.
Ma l’hobbit, a questa presunta atroce ingiustizia, comunque non ci sta. “Cosa c’è là fuori? Il mare. E che ci sta nel mare? Le aragoste, che alla faccia vostra sguazzano,” e via, parte una dissertazione che neanche un biologo marino ubriaco. Nel tavolo, frattanto, cala il gelo, scatta il disagio collettivo. La figura barbina (e barbona) è di proporzioni epiche.
Alla fine tuttavia, Jed opta per l’impepata di cozze. “Ce l’avete il pesce, in questo ristorante di pesce?” sghignazza allora Corki, e il povero cameriere incassa l’ennesima battutaccia dell’ometto che intristisce Jed e fa vergognare di esistere Jonathan. I due, che hanno solo l’hobbit a dividerli, si lanciano uno sguardo, sorridono appena. Corki li guarda come un bambino che si schifa se papà e mamma si baciano, e s’infuria.
Ora, ad essere sinceri, l’occhiata e il sorriso che si scambiano Jed e Jonathan non è d’amore. È lo sguardo di compassione che lanciate al tizio seduto sull’autobus davanti a voi dopo che è salito un pazzo che vi ha importunato. È la complicità di due povere vittime delle circostanze che preferirebbero trovarsi nel simpatico pantano della Palude della Tristezza, anziché al tavolo con Corky.
“Ora voglio proporre un brindisi. Agli innamorati, un connubio di bellezza ed eleganza,” intona improvvisamente serio. I due aggettivi, ovviamente, escludono Roper, che ha il suo fascino ma non è disperatamente bello come Pine e Jed. Sua Malvagità tuttavia pare non accorgersene, e fissa Corki come se si trovasse di fronte una biscia a due teste.
I due belli, invece, hanno capito benissimo a cosa il nanerottolo si riferisca, ma mentre Jonathan partorisce maledizioni in svariate lingue morte, norreno compreso, Jed fa la gattina affettuosa con Roper “Cicci, ti mancherò? Mi mancherai? Mi porti con te?” sussurra malefica. Le cose sembrerebbero essersi risolte, ma l’imprevisto è dietro l’angolo. L’insalata di aragoste di Jed, che voi potete ricreare tranquillamente a casa come fa la Cicala Claudia quando si diletta in cucina buttando una scatola di tonno a filetti dentro una ciotola con dell’insalata, fa la sua comparsa nel tavolo di fianco a quello dei nostri commensali.
Corki impazzisce, di nuovo, e tenta di aggredire il cameriere, rubando il piatto e porgendolo a Jed. È uno di quei momenti talmente tanto atrocemente imbarazzanti, che l’unico modo per superarlo è farsi cancellare la memoria.
Quando il Colonnello molla un gancio al povero cameriere (sosia di Laurenti, per altro), Jonathan Pine decide che è ora di agire. Blocca quella trottola impazzita ma l’hobbit, che è ubriaco ma non scemo, ricorda l’antico adagio oraziano: carpe diem, cogli l’attimo o, come si legge anche nel Manuale della Spia Perfetta, ogni lasciata è persa. Profittando biecamente della colluttazione, signori Lettori, la butta in caciara e si aggrappa alle regali terga del nostro stoico eroe come nemmeno Messner durante una scalata. Più volte.
Miracolosamente, Pine divincolandosi riesce a staccarsi di dosso l’ometto, che scarta di lato e si piazza là dove il sole non batte, togliendosi numerose curiosità che nemmeno nei peggiori bordelli di Caracas. Finalmente, Jonathan Pine riesce a liberarsi di quell’hobbit rompiballe e maniaco staccandolo letteralmente dai suoi gioielli di famiglia. Altro che sputargli nelle cozze, doveva. Altro che la sabbia del gatto.
Fermato l’omuncolo, il nostro ex night manager sfodera il savoir faire che l’ha reso il portiere di notte più figo dell’emisfero boreale e non solo. Si scusa con i vicini di tavolo indignati e offre loro la cena – tanto i soldi sulla carta di credito mica ce l’ha messi lui, ma zio Roper, che gli frega.
Sua Malvagità è estasiata da codesta recita, ma Corki la prende ancora peggio. Batte le mani in mezzo al ristorante, per il terzo atto della pièce teatrale “Disagio a Cena,” e insulta direttamente Jonathan. “Bravo. Non è irresistibile?” esordisce. “Così bello, affascinante, dotato, ehm posato. Al vincitore! E a questo povero cieco,” dice rivolto a Roper, “che non riesce a vedere un bastardo neanche quando ce l’ha di fronte agli occhi!”
Richard fissa Jonathan come se avesse appena subito una lobotomia e non dice nulla, e Corki finalmente lascia il palco, dimostrandoci ancora una volta come sia alto più o meno come una sedia.
Mentre tutti si divertono, a Londra Angela Burr lavora. Riesce a trovare una talpa a River House e a scoprire, finalmente, chi sono Halo e Felix. Insospettabilmente, Halo è il perfido Randall di Outlander, e Felix l’americana bionda e infida, nemesi crudele dell’Elfo Americano.
Dopo cena, Sandy si complimenta con la nostra volpe furba per la perfetta gestione dell’ubriachezza molesta di Corki, appresa in anni e anni di lavoro nel settore della ristorazione mentre Roper parla al cellulare con qualche losco trafficante.
“Noi vecchiacci dobbiamo parlare; ci vorrà un po’” dice a Jed dopo aver chiuso la telefonata. “Ma Pine vorrebbe portarti al bar sopra la terrazza. Fossi in te approfitterei, ha già delle pretendenti” dice indicando quattro sgallettate che fissano il nostro fascinoso eroe al solito modo bramoso.
I due recepiscono dal discorso di Roper quello che capirebbe una coppia di adolescenti in piena tempesta ormonale. E così, Jed e Jonathan, i due belli, si allontana verso il bar. Le loro manine quasi si sfiorano.
“Quando torni?” domanda lei con urgenza.
“Non lo so,” risponde l’Uomo dei Misteri.
Jed si ferma accanto una colonna. “Chi sei tu?” domanda “Entri nelle nostre vite. Sconvolgi il nostro equilibrio. Tutti sono conquistati da te. Chi sei veramente? Sei Andrew Birch? Sei Thomas Quince? Sei Jonathan Pine? Sei figo e basta? Dimmelo!” ordina la stanga.
“Non posso,” soffia Jonathan Pine rendendosi ancora più appetibile e recitando la parte del bel tenebroso cui è impossibile resistere.
“Quanto tempo abbiamo?” domanda Jed, cui nulla frega di Roper che chiacchera a cento metri da lei.
“Ha detto che ci vorrà un po’ di tempo,” specifica Pine che coglie subito la palla al balzo con voce roca.
“La tua stanza?” boccheggia Jed.
I due si tele trasportano davanti alla stanza di Pine, che in due nanosecondi chiude la porta, si cala le braghe e conosce biblicamente quella stanga di Jed, dopo ben quattro puntate di agonia. A voler essere onesti, il tempo di consumare la coppia di fornicatori ce l’avrebbe avuta anche se Roper fosse andato in bagno. La sveltina, difatti, dura sette secondi netti, ma oh, erano quattro puntate che aspettavano. E poi, spezzando una lancia in favore delle doti amatorie senz’altro eccellenti di quel figo di Pine, nulla vieta che ci sia stato un seguito più vissuto tra i due. E comunque, sono stati sette secondi fantastici.
Nelle prossime puntate:
Dove quel figo di Jonathan Pine segue Sua Malvagità nei suoi loschi traffici fino in Turchia. Dove, visto che la firma di Andrew Birch non è abbastanza maschia, il nostro eroe opterà direttamente per la foto all’iride azzurra, verde, grigia, insomma boh.
N.d.A.
O tu, Lettore che hai già scorto gli altri episodi di codesta, folle parodia, perdona la lunga attesa cui ti ho costretto. Ben sette giorni sono passati dall’ultima pubblicazione, ma è stata una settimana lunga e tremendamente poco divertente per la sottoscritta, e il tempo per scrivere di quel figo di Pine, ahimè, ne ho avuto poco. A te, Lettore che per la prima volta ti accingi a leggere il soprastante tripudio di follia, grazie per essere passato e ricorda che, nella sezione apposita e nei link in alto, trovi gli altri episodi. Al solito voglio ringraziare la Cicala Sara per aver letto in anteprima e valutato lo scritto e tutti coloro che amano e apprezzano queste righe sbilenche. Non ci credo ancora che esistete!
Vostra, Claudia
Fiaccata dalla bronchite ho lasciato il telecomando in mano a mio marito, uomo ineccepibile nonostante la sua passione per gli horror giapponesi. Cosi invece del make over di Pinuccio nostro mi sono sciroppata “Volo 7500” : un obbrobrio, girato dall’unico regista giapponese totalmente negato per l’horror, sceneggiato da un labrador eccezionalmente poco ispirato e interpretato da un branco di celenterati deficienti.
Onestamente, non posso negare che eravamo davvero impietriti dall’orrore… un po’ come quando vedi un gatto bere nella tazza del gabinetto e ti chiedi se scivolerà (spoiler : sì). Non impreco perché 1) sono veramente troppo signora; 2) dopo questa devastante esperienza mio marito non riesce più a restare da solo nella stessa stanza col telecomando:; 3) le medicine cominciano a fare effetto e sto già meglio.
Ommioddio quanto sto ridendo! 😀 Devo andare sicuramente a recuperare questo splendido capolavoro per proporlo al moroso Appassionato di Film Horror che certo apprezzerà simile opera! 1) puoi optare per delle imprecazioni in norreno, fanno colore 2) Dovevate vedere il portiere di notte. Per fortuna che, grazie alla parodia, settimana prossima potrete vedere l’episodio senza rimanere indietro sulla trama. Ad ogni modo, come indennizzo io chiederei una seduta di shopping extra con la scusa “danni morali” 3) guarisci presto! 🙂
L’immagine del gatto che scivola è spettacolare!! Mi fai quasi venire voglia di tornare a fare parodie (è il tempo che manca, dannaz!)
Oh, sssì, sssì, le parodie! Tesssoro, a noi piacciono le parodie! Ehm.
Però il film no, guarda, lascia perdere, fidati, no.
Eeeeh… c’è quella di Crimson Peak sul blog che è più di un anno che langue in attesa di una fine! Però mi piacerebbe tornare a farne 😀 (tessossoro ricorda tanto Sir Bis, uno dei miei personaggi preferiti di sempre <3)
Ma anche Smeagol.