“E adesso che succederà a quel figo di Jonathan Pine?” boccheggia la Cicala Claudia.
“E adesso che ci dobbiamo vedere tutti e due gli episodi insieme?” si lagna il povero fidanzato della suddetta.
La Cicala alza un sopracciglio e lo scruta. “Perché, non ti piace?” sibila.
“No no, è bellissimo,” bofonchia l’incauto mettendo di corsa in play. Sa che, se non dimostrerà il sufficiente entusiasmo, la Cicala gli pianterà un casino assurdo sul perché non sia diventato un fan sfegatato dell’acclamata trasposizione televisiva del romanzo di John Le Carrè il direttore di notte, che portiere faceva un po’ sfigato.
Nelle puntate precedenti:
L’ex portiere di notte più figo della Via Lattea, tale Jonathan Pine, viene assoldato dai servizi segreti inglesi capeggiati dalla tostissima Angela Burr per sventare i piani del malvagissimo Roper. Pine si getta a capofitto nell’operazione, divenendo prima bullo di periferia, poi braccio destro del malvagissimo grazie non tanto alle sue abilità quanto al fascino dei suoi occhioni. Ad essere conquistata dal fu Jonathan Pine, ribattezzato Andrew Abelardo Birch è pure la fidanzata un po’ tonta di Roper, Jed. Ma qualcuno (Randall di Outlander), da Londra informa Richard che la Burr gli sta col fiato sul collo, e il malvagio trafficante si fa sempre più sospettoso. Riuscirà il nostro eroe a farla franca, o sarà franca a farsi il nostro eroe? (non ve ne uscite con battute sconce, voi. Vi sento).
The Night Manager episodio 5 parte due. Le operazioni stealth di Jonathan Pine
Londra. Angela Burr rientra a casa. Il tetro silenzio è rotto solo dal latrato dei cani in lontananza ed è così tardi che nemmeno tossici e vampiri si vedono più in giro ma lei avanza, infagottata un po’ dalla gravidanza che sta vivendo serenamente, un po’ dalle buste che l’appesantiscono. Mentre smadonna sul perché ha parcheggiato a mille chilometri di distanza da casa sua, ai cani si affiancano pure i lupi. Potrebbe esser l’ambientazione giusta per girare un nuovo film su Jack Lo Squartatore, invece la tostissima guadagna l’uscio di casa.
Il marito casalingo dorme il sonno dei giusti, la cameretta per la baby Angela è pronta e, per un istante, sembra quasi che quella roccia granitica di Angela si commuova. Macché. Ma come vi permettete anche solo di pensarlo. Scesa in soggiorno per dare un’ultima, morbosa, occhiata alle pratiche del lavoro, il silenzio della notte viene interrotto dal cellulare.
“Sono Randall di Outlander, ti andrebbe di vederci?” risponde la perfida giubba rossa.
“Eh, mi sarebbe piaciuto guarda, ma sto già a letto,” nicchia lei.
“A vederti non si direbbe,” dice Randall di Outlander tetro svelando lo psicopatico che è dentro di lui. In un’ora imprecisata della notte in cui piove pure, difatti, questo genio del male si è fatto accompagnare fin sotto casa della tostissima per intimidirla, laddove qualunque altro pazzo criminale un po’ più sul pezzo avrebbe mandato lo sgherro stupido. Ma dico, Randall, non l’hai mai letto il Manuale del Villain? Non sai che, a pagina 53 c’è scritto testuale che un vero cattivo non deve mai abbassarsi con i plebei e non deve confrontarsi con essi se non nello scontro finale? Non hai imparato la lezione di Loki, che ha perso una partita che lo vedeva, almeno sulla carta, Signore e Padrone della Terra con un piccolo esercito di Chitauri al seguito? E ora chi lo sente Thanos?
Randall, che non sa niente peggio di Jon Snow, scende sotto la pioggia e bussa. Angela, fissandolo allo stesso modo in cui guarderebbe una blatta, si reca ad aprire e lo trova poggiato sullo stipite della porta, neanche fosse il suo ragazzetto.
“Non mi fa accomodare?” domanda facendo un po’ il piacione.
“No, non si invitano mai i malvagi ed i vampiri a varcare la soglia di casa. A meno che non sia un rocchettaro figo tipo Adam o Gary Oldman vestito da Dracula,” ribatte.
“Io la ammiro, Angela. Ammiro la sua tenacia,” inizia Randall prendendola alla lontanissima. “Mi è dispiaciuto che ha lasciato l’M16,” continua, ma la Burr, che già s’è scocciata di questo rompiscatole, lo invita a tagliare corto.
“Che vuoi ora? Guarda che non ti compro niente e non firmo niente,” esclama esasperata.
Randall di Outlander fa una pausa ad effetto e, infine, parla. “Volevo chiederle dove ha preso i documenti,” dice.
“Quali documenti?” risponde la nostra faina astuta, che di volpe ne abbiamo già una.
“Quelli che le ha dato Apostol, la ragione per cui gli arabi gli hanno tagliato la gola,” soffia tetro. E infreddolito.
“Ah, sono stati gli arabi?” domanda la Burr. A lei, Spia Alfa, la Vedova Nera spiccia casa. Se era Angela a dover interrogare Loki, con qualche anno di meno e senza pancione, dal dio degli inganni si faceva dire di Hulk, dove si nasconde Thanos e finiva che ci limonava pure.
“Sì,” prosegue Randall che neanche si è accorto della gaffe. “Fanno affari con Roper, e non gli piacciono gli spioni. E i nani da giardino.”
“E lei, malvagia giubba rossa? Anche lei fa affari con Roper?” sputa la tostissima.
Randall, altrimenti detto gola profonda, ormai è partito per la tangente, e continua a spifferare i suoi piani. “Voglio solo tutelare gli interessi del mio paese,” esordisce in una botta di nazionalismo.
“E ottenere qualche bonus,” gli ricorda la Burr.
Randall fa un’altra pausa ad effetto. La seconda. Prova ad avvicinarsi alla soglia ma, essendo un malvagio non invitato, non riesce a varcarla. “Lei mi ha mentito,” osserva. “L’operazione Limpett non è una ciofeca colossale, un clamoroso e patetico fallimento! Lei aveva un infiltrato! Devo sapere chi è!” ordina, rispettando quanto detto a pagina 2 del Manuale del Perfetto Villain dove si dice che “bisogna sempre, sempre, sempre svelare i propri piani malvagi all’Eroe“. E prosegue nella sua diarrea verbale, sparando teorie socioeconomiche sulla necessità del male e altre baggianate simili. “A noi serve Richard Roper, all’America serve Richard Roper: per la sua sicurezza, lei non deve essere d’intralcio,” conclude finalmente.
“Se vabbè, buonanotte,” ribatte Angela.
Ma Randall di Outlander, che deve avere sempre l’ultima parola come diceva Van Helsing, infierisce. “Non osare chiudere la porta!” intima.
Due secondi dopo, ovviamente, si ritrova la faccia spiaccicata con violenza sul suo naso.
Il Rifugio, finalmente.
Anche nel villaggio dei Puffi creato da Roper/Gargamella è notte. Un paio di guardie assonnate si grattano le terga sbadigliando. Ad un tratto, la luce salta all’improvviso. Saranno stati i cani della prateria che hanno rosicchiato i fili? I Gremlins burloni? O una volpe furba più di una volpe furba?
La terza che avete detto, sì. Il nostro eroe, fascinoso come solo una spia interpretata da Tom Hiddleston poteva essere, ha opportunamente manomesso il generatore. Certo, l’operazione stealth poteva essere un po’ più discreta dato che il nostro ex portiere di notte fa una caciara assurda per richiudere il pannello elettrico e fugge non proprio come un ninja, ma tant’è.
Nella tenda padronale, Jed si fa prendere dagli scompensi. “Perché siamo al buio? Eh? Eh? Eh?” comincia a lamentarsi.
“Fa niente stellina, succede,” dice Roper entrando nella tenda.
Ma Jed è proprio insofferente e inizia la lagna. “Mi hai portato in una base militare in mezzo alle zanzare e al niente, e neanche posso fare shopping online. E tutti mi guardano con la bava alla bocca! Hai idea di quanto mi senta umiliata?” frigna come sempre svestita.
Roper prende una torcia e gliela punta in faccia. “Credevo gradissi le loro attenzioni,” dice con tono da psicopatico, che ormai siamo alla penultima puntata e, finalmente, deve farci vedere quant’è sadico e cattivo.
“Non fare l’idiota. Perché mi hai fatto venire qui?” prosegue Jed infuriata come una biscia, “non mi dici mai niente del tuo lavoro.”
“Ma non me l’avevi chiesto tu, di venire con me?” domanda Roper in un gioco di luci e ombre che dovrebbe farlo sembrare più cattivo. E in effetti ha ragione, glielo aveva chiesto lei, da polla di prima categoria qual è. “Comunque devi sapere che qualcuno mi sta mettendo i bastoni tra le ruote. Non passo più dalle porte. Magari potresti aiutarmi,” suggerisce mentre Jed pensa a quei famosi sette secondi.
“Non so di cosa tu stia parlando,” risponde lei fintamente schifata.
Roper guarda Jed. “Sei forse tu?” domanda torvo, da perfetto villain qual è, ma ecco che la stanga rovina indecorosamente il momento di pathos scoppiandogli a ridere in faccia, neanche fosse Anastasia di fronte ad una battuta di Gray. E, per rimanere in tema, Sua Malvagità le molla uno sganassone che la ribalta.
“Dimmi la verità!” tuona afferrandola per le guance, “che ne hai fatto della lista? Hai mangiato tu la zuppa del Casale? E i miei calzini a pois?”
“Quale lista, quali calzini? Quelli a pois erano di quel figo di Tom Hiddleston, mica tuoi!” soffia la donna terrorizzata.
“La zuppa del Casale l’ho presa per me, in frigo ce n’è ancora,” mormora Jed terrorizzata dall’occhio da pazzo di Roper.
“Dov’è la lista,” si concentra Sua Malvagità.
“Gioia, ma io che ne so di questa lista,” mormora ancora la bionda lacrimevole e lacrimosa. La furia di Roper viene dirottata fortunatamente su altro grazie al provvidenziale intervento di Frisky che rende nota, dopo mezz’ora, la novità: il generatore non è semplicemente saltato perché un coniglietto ha rosicchiato il filo sbagliato: è stato proprio manomesso da una mente diabolica e astuta.
“Resta esattamente dove sei,” intima Roper ficcandosi la lampada sotto al viso come se recitasse in Blair Witch Project.
Jed è impaurita e sconvolta, Roper si allontana per vedere il maledetto generatore ma ecco che, invisibile e lesto, il nostro Jonathan Pine spunta dall’oscurità della notte e, cercando di mimetizzarsi, scivola dentro la tenda di Jed. Anche qui, di nuovo, la nostra volpe furba più di una volpe furba proprio un ninja non è, ma tanto quella polla non si accorge della presenza della fascinosa spia fin quando lui non la chiama.
“Oh cielo,” esclama lei svenevole.
Jonathan Pine, quel figo, le fa segno di tacere, ma la stanga esplode.
“Portami via, Jonathan” soffia, immaginandosi già sulla prua di una nave con il fascinoso che la stringe vestito da pirata.
“Ma anche no. Adesso poi, ho pure da fare,” sussurra lo stupendamente bello.
“Dimmi chi sei veramente,” mormora lei mentre sale la tensione sessuale tra i due. “Sei tu il mio principe azzurro? Sei tu la mia anima gemella? Un vampiro fascinoso? Il capitano di un reggimento? Sei tu un aviatore con un problema di alcolismo ma tanto, tanto figo? Sei tu un dio?”
“In effetti sì,” confessa Pine mentre un bagliore verde gli si insinua negli occhi un po’ grigi, un po’ azzurri, un po’ che ne so, e un sorriso perfido ma tanto, tanto fascinoso gli si disegna sul viso affilato.
“Eh?” fa Jed.
“Il dio degli inganni è una beffa prematurata, antani d’eccezione, l’hai letto il Tobin?” spiega Pine e, di fronte a Jed che non capisce, infine sospira e rotea gli occhi, stizzito. “Come dice Winston a Ray, se qualcuno ti domanda se sei un dio, gli devi rispondere sì.”
“Ah, certo,” replica Jed che non ha capito un sassofrasso di niente di tutta la questione.
Dato che la stanga ha fatto quasi saltare la copertura di Pine per ben tre volte (andando a casa sua nel bel mezzo della notte senza un motivo apparente, lanciandogli occhiate languide a cena e telefonandogli, sempre di notte, in albergo da casa di Roper), Jonathan fa un enorme sospiro e decide di giocarsela fino in fondo.
“Io in verità lavoro per i servizi segreti di Sua Maestà,” se la tira a bestia, “e sono qui per seguire i loschi traffici di Roper.”
Jed lo fissa con espressione bovina: l’acume e questa donna viaggiano su due rette parallele destinate a non incontrarsi mai. “Ma hai salvato la vita a Danny” osserva la polla.
Jonathan Pine rotea gli occhi, riflettendo sul fatto che qualsiasi primate, a questo punto, avrebbe capito dove vuole andare a parare la nostra volpe furba, tranne la bionda, cui deve dare ulteriori spiegazioni. E vabbè. “Era programmato,” dice facendole un disegnino per spiegare meglio.
“No,” esclama Jed, “ti hanno ferito, sei quasi morto,” s’impunta. Ma cara ragazza, se Pine ti dice che è una spia, perché senti la necessità di contraddirlo? Questo pensa la vostra Cicala e questo pensa pure quel figo del nostro eroe.
“Faceva parte del piano, era il metodo Stanislavski” bestemmia tra i denti Jonathan.
“E la lista?” domanda lei, incapace di fare due più due.
La spia prosegue con i disegnini, chiedendosi perché proprio a lui doveva toccare la comprimaria con la presenza di spirito di un bradipo sotto narcotici. “Che cosa vuoi che ci sia scritto in una lista?! C’era la lista, guarda un po’, dei clienti di Roper, delle sue armi chimiche e non. Ecco che faccio, ecco chi sono,” prosegue il fighissimo Andrew Abelardo Birch, dagli occhioni un po’ grigi, un po’ azzurri un po’ verdi. Insomma, boh.
A questo punto Jed ha capito. Un po’ perché la spiegazione di Pine è stata coadiuvata da opportuni disegnini, un po’ perché si è abituata all’accecante bellezza di quel figo che ha davanti, finalmente dice qualcosa di vagamente sensato e intelligente. “Che devo fare?” domanda decisa.
“Dai la colpa a Corki,” suggerisce lesta la nostra volpe furba più di una volpe furba.
“Ma è mio amico, sembra un peluche,” protesta la modella.
“È solo un sacco di pulci trafficante d’armi che sospetta di me. Leviamocelo dalle palle,” sibila Pine, e visto che Jed ci ha messo il tempo record di 0,05 secondi a decidere di mandare bevuto Corki, batte il ferro finché è caldo. “E, visto che ci sei, dammi pure tutti i tuoi soldi. Possibilmente dollari.”
Lesta, Jed molla a Pine la pecunia, scusandosi per averne appresso così poca. Pine si inguatta il denaro, poi punta i suoi occhioni fascinosa sulla stanga. “Io ti porterò via Jed, te lo prometto,” dice, e la bacia con enfasi e trasporto, per poi allontanarsi nella notte, ovviamente non visto, nella direzione opposta a quella da cui sta rientrando quel becco di Roper.
(Dato che il bacio a Jed è durato ben più di sette secondi, quel figo di Pine ci tiene a precisare che, l’abitudine della stanga ad andarsene in giro senza mutande – come ha fatto anche in occasione del suo incontro amoroso con Pine, ha drasticamente abbassato la durata della sua performance. Oh Jonathan, non preoccuparti: è la qualità che conta).
Roper finalmente rientra, e la bionda esordisce con la sua pantomima. Siccome ho fretta di ritornare ad occuparmi di quel figo di Pine, sintetizzeremo al massimo la becera storia di Jed, falsa come una moneta da tre euro: “siccome ero curiosa di sapere che lavoro fai, ho scattato una foto alla lista. La volevo mandare a qualcuno. A chi? Boh. Infatti non l’ho mandata a nessuno, l’ho cancellata dal telefono dopo, uhm? Vediamo, tre giorni. Ma io sono una tale cretina che lascio sempre il telefono in giro, Corki me lo dice sempre…”
Sua Malvagità si acciglia. “Che c’entra Corki?” domanda sospettoso.
“Eh, l’ha ritrovato lui l’ultima volta…” nicchia lei. “Mi dispiace,” aggiunge contrita.
“Tranquilla, troveremo il modo per rimediare, ma promettimi che non farai più queste cavolate,” dice. Pace sembra essere stata fatta.
E Jonathan Pine? Signore e signori, la nostra volpe furba più di una volpe furba si cimenta in una vera operazione stealth. Eccolo, vagare saltellando per l’accampamento scivolato nella catatonia più totale, degno erede di Renfield di cui ricordiamo l’abilità con cui seminava i suoi nemici. Dopo aver preso una cesoia – o qualunque sia il nome di codesto strumento – si avvicina al perimetro del Rifugio. Sebbene si trovi in un paese ostile, Roper non ha curiosamente sentito la necessità di circondarsi con, che so, un doppio giro di filo spinato, sensori di qualche tipo, una cavolo di torretta di avvistamento o un maledetto muro. Ha pensato, invece, che sarebbe bastata a proteggerlo da ogni avversità una pulciosa rete, identica a quella che circonda i campetti di calcio molto tristi. Fischiettando, Pine rompe la suddetta e scivola con grazia felina oltre la “barricata.” Fa talmente tanto rumore che i cani abbaiano, ma siccome all’accampamento militare dove è saltata la luce per un sabotaggio elettrico nessuno si dà pena di controllare il perimetro o, se lo fa, lo fa male, si allontana nella notte.
Dato che l’episodio è lunghissimo e siamo indietro rispetto alla tabella di marcia, soprassediamo sull’incontro con degli sfortunati profughi. Armati con dei residui bellici del secondo conflitto mondiale, questa famiglia imparentata con i lemmings ha deciso di morire in fretta: vogliono portare a Roper il cadavere di una vecchina che era rimasta nel villaggio distrutto dalla rappresentazione messa su per il Conte Cuticchia.
Pine, ovviamente, prima si fa puntare da un ragazzino un fucile residuo della guerra di Crimea, poi si commuove di fronte alla sorte miserabile di questi poveracci. Infine, dato che è intelligentissimo, si accorge subito che il piano di questi citrulli sta Roper come la Corrazzata Potemkin al Ragionier Fantozzi, e tenta di convincerli a desistere.
Ma quelli, tenaci, proseguono per la loro strada.
Nonostante i mille pericoli di questa landa desolata, Pine giunge camminando lesto fino ai tassì scassati parcheggiati accanto al centro profughi. Sveglia quello con la macchina messa meno peggio di tutte e che ha solo tre porte sfondate e gli molla un bigliettino. E i soldi di Jed, che lui col contante non gira, in tasca ha solo un pacchetto di gomme e il buono della Esso di Angela deve essere usato solo in caso di vera emergenza.
“Tieni buon uomo. Questi sono duecento dollari e questo è un messaggio. Lo devi consegnare ad una donna dai capelli rossi che alloggia all’hotel più figo di Istanbul. Se glielo consegnerai, lei ti darà altri duecento dollari.” Che sciampagnone che sei Pine! Tanto mica erano tuoi!
Accecato dai soldi, ovviamente, il povero tassista sfreccia con la sua Fiat Duna – concedetemi questa licenza poetica, ebbene sì, alla volta della capitale che dista solo sedici ore di mulattiera. Pine, che meglio di così proprio non poteva fare, s’incammina di nuovo alla volta del Rifugio ma, quando arriva di fronte allo squarcio che ha fatto nella rete, visibile anche dalla stazione aerospaziale, si blocca. Nel buio, scorge un sagoma.
Toh, pensa grattandosi il mento, hanno piazzato un nano da giardino, non ci avevo fatto caso, ma ecco che improvvisamente la statuina si muove, e Corki, a braccia conserte l’apostrofa severamente.
“Embè? Te la sei svignata un’altra volta? Ma che si rientra a quest’ora? Guarda che questo Rifugio non è mica un albergo, che prendi, vai, non ci dici mai con chi esci, non lavi mai i piatti. Guarda che poi ti mettono in castigo,” minaccia dall’alto della sua bassezza.
“Si, vabbè. Roper non ti crederà mai,” sghignazza il nostro eroe, conscio del suo fascino che nemmeno il Gatto con gli Stivali di Shrek riesce ad eguagliare. Del resto, come potrebbe Sua Malvagità non credere a il fu Jonathan Pine per dare retta ad un nano ubriacone con cui ha condiviso anni di onorata carriera e finanche il carcere?
“È un rischio che devo correre,” mormora Corki tirando fuori una pistola, conscio ormai di aver perso ogni privilegio presso il suo adoratissimo capo.
Pine rotea gli occhi sbuffando, ma Corki lo incalza. “Adesso chissà quanto sarà felice Roper di sapere delle tue fughe notturne, malefico traditore. Credevi di essere una volpe furba più di una volpe furba eh? E invece ti ho sgamato! E ora ti ammazzerò, non sai da quanto sognavo di farlo!” prosegue l’hobbit. È il suo momento. Parte la colluttazione.
Corki è agevolato dalla pistola, Jonathan da una generosissima Madre Natura. Riesce più o meno a disarmare l’ometto che, però, gli spalma la faccia sulla rete protettiva, mettendosi in una posa quantomeno ambigua e beccandosi tutte le nostre maledizioni per il dolore inferto al nostro eroe.
Ma poi, quella pertica di Pine, a cui Corki arriva all’altezza del pettorale, riesce a liberarsi solo per finire a rotolare giù per la scarpata sottostante. Qui lo raggiunge un inferocito Corki, un piccolo concentrato di cattiveria che gli si butta addosso.
Ma Jonathan, finalmente, si ricorda di quella storia che lui è l’eroe della storia invincibile, e altresì di avere gli arti più lunghi dell’hobbit e ribalta in fretta la situazione, pestandolo senza pietà. È che gli aveva dato un po’ di vantaggio, all’hobbit; che cavaliere! Finalmente, mentre l’ometto è ancora stramazzante, qualcuno si accorge della lite, e i due contendenti vengono illuminati da un faro.
“Presto,” grida Pine, “l’ho beccato fuori dalla rete, chiamate Roper!”
Il branco di dementi che formano l’esercito privato del malvagissimo vanno in massa dal loro capo, senza che nemmeno un furbacchione resti a guardare come prosegue lo scontro, e Jonathan ne approfitta per finire senza pietà Corki, quel rompipalle.
“Pucci che è successo?” domanda Roper correndo svelto oltre l’invalicabile rete.
“L’ho sorpreso da questa parte, non so da quanto fosse uscito o se ha parlato con qualcuno,” spiega Pine, figo anche se ricoperto di polvere.
Sua Malvagità si accerta brevemente che l’ometto sia morto poi, dopo aver tirato giù un paio di bestemmie, ordina che il suo ex tirapiedi venga seppellito nella prima buca disponibile. “E che nessuno dica che era qui!” intima. A Pine, che a logica avrebbe tranquillamente potuto evitare di seccarlo, Roper non dice assolutamente una parola.
L’occasione è propizia per una scena assolutamente inutile ai fini della storia, ma essenziale per noi: in una virile e maschia doccia da campo militare, quel figo del nostro eroe si ripulisce dalla polvere, mentre Tabbies e Friskies seppelliscono Corki in una buca grande quanto quella che facevate al mare per fare il vulcano. Però, Pucci, la prossima volta mettiti le ciabattine, eh.
Istanbul
Dopo sedici ore di viaggio da incubo, il tassista con la Duna giunge finalmente all’hotel più figo della città. Qui incontra la rossa agente della Burr e le dà il foglietto scritto da Pine. La donna sorride entusiasta, ed accetta persino di pagare quel poveraccio. La nostra volpe, difatti, è riuscita a farle avere i numeri delle targhe su cui sono partite le armi comprate dall’Ing. Dottor Conte Cuticchia.
Londra
Nell’ufficio di Angela Burr c’è chi ha portato le paste, chi intona balla balla di Umberto Balsamo, chi ringrazia la Madonna del Guadalupe per l’insperata fortuna: il biglietto gualcito di Pine troneggia sullo schermo di Singhal neanche fosse un pezzo della Vera Croce. Il problema è che, per fermare i camion, alla tostissima serve l’autorizzazione di Rex, e l’Ewok, in questo momento, sta impacchettando le sue cose e fischiettando una sigla dei cartoni animati. Angela, come un fulmine, si reca dunque dal suo capo, bypassando senza pietà l’inutile segretaria.
“Venti camion zeppi di armi di contrabbando. Ed è opera di Roper,” esordisce. “Finalmente il nostro lavoro avrà un senso,” spiega.
“Te l’ho detto. Non possiamo fare niente, non abbiamo alleati,” spiega Rex, comprato beceramente per una tazzina di the. Ma magari gli stai antipatico, alla Regina.
“A me non servono alleati,” ribatte Angela. “A me serve la firma del Ministero che conferma la presenza di armi sui quei camion. Poi io chiamo l’Elfo Scuro, e a fare il lavoro sporco ci pensano lui e gli americani,” spiega sicura. “Basta solo una tua firma,” incalza.
Rex tentenna, e la Burr insiste. “L’offerta è solo per oggi, non si ripeterà,” spiega con disperazione come fosse la Cicala Claudia di fronte ad uno sconto succoso.
Ufficio dell’Elfo Americano
Contrariamente agli usi del suo popolo di self made man, l’Elfo fissa la scrivania vuota con aria triste. Non ha nulla da fare, e ha già provveduto a rifare la punta a tutte le matite del distretto. Finalmente giunge la telefonata della Burr e, conseguentemente, il fax con le targhe. Felice come una pasqua, l’Elfo chiama l’esercito e si carica di foglie di via.
Rifugio triste
Sua Malvagità, come tutti i villain che si rispetti, ha installato in una delle tende squallide del suo rifugio una sala di controllo con gente che fa finta di smanettare con satelliti e roba simile ed invece gioca a Galaga e a Space Invaders. Scortato da Tabbies, il fu Jonathan Pine si affianca a Roper. Che lo fissa come se non si ricordasse il suo nome e si dovesse far cambiare il pannolone. “Pucci,” dice.
“Ciao,” risponde il nostro impicciandosi di tutte quelle lucine che lampeggiano sui monitor. E se ne va. Che momento pregno di significato!
Londra
“Sono l’Elfo Americano” dice l’Elfo chiamando Angela. “Gli americani chiaramente hanno avuto il permesso di fermare i venti camion e perquisirli. Vuoi vederli?” nicchia. È felice come se avesse invitato la Burr alle giostre e le stesse offrendo lo zucchero filato e, in effetti, lei è entusiasta. “Ti voglio bene,” cinguetta, e l’Elfo, dall’altra parte della cornetta, gioisce. Ma la friendzone è una zona infida, signori Lettori: non esultate.
Insomma, tutti si fermano davanti ai monitor. Angela da Londra, Roper e Pine dal loro rifugio triste in mezzo al deserto. Sua Malvagità fissa Pine – che sospetti, finalmente, della nostra spia furba? – poi ordina a Tabbies di portare nella sala controllo Jed. La stanga avanza, avvolta in una tunica che sembra rubata ad un divano. È perplessa, poi però Pine la vede e le rivolge un sorriso che, in quanto fatto da lui, è chiaramente stupendo.
“Ciao Jed,” dice.
La bionda lo fissa estasiata, come se avesse visto, che ne so, Tom Hiddleston in sella ad un cavallo bianco, e i due si scambiano un’occhiata così innamorata e puccettosa che a Roper prude la testa.
“Tesoro,” dice comunque scambiandosi un bacetto con la ragazza. “Volevi sapere come mi guadagno da vivere?” domanda con l’occhio da pazzo. Tutti seguono dai monitor che si avvicinano al confine, tesissimi. A due metri dallo stesso, finalmente, il posto di blocco americano si palesa, un telefono squilla. “Ommioddio,” grida Tabbies, “ci vogliono ispezionare la merce!”
Pine sta sudando come nemmeno a Roma in pieno agosto con l’umidità all’80%, Roper, invece, sorseggia tutto concentrato il suo the. Ad un tratto si volta. “Hai ripassato i tuoi giochi di prestigio, Pucci?” domanda.
“Eeeeh?” risponde Jonathan quasi saltando sul posto da quant’è teso, e provando a smorzare la situazione con una delle sue risate belle, che magari inteneriscono il malvagissimo.
Ma ecco che, in diretta mondiale, i camion vengono aperti. E scatta la figuraccia. Epica. Colossale. Vergognosa. Il convoglio, difatti, trasporta grano e trattori, trattori e grano.
Lo sgomento attraversa i volti, nell’ordine, di Angela Burr, del suo staff e di quel figo di Pine. Pure Tabbies, che sulla sfiducia dava già Roper al gabbio si dimostra un po’ perplesso e stupito dell’improvvisa evoluzione della situazione.
“Ci è andata bene,” soffia la murena che, per i miei gusti, sta parlando un po’ troppo.
“E certo, che vi credevate,” ghigna il Malvagissimo che, dopo una serie di baggianate clamorose, dimostra di non essere ancora rimbambito del tutto. Poi scuote la testa. “Fermare un convoglio che trasportava granaglie e trattori… che scandalo,” ride e subito Langbourne gli dà il cinque, gioioso. “Sei davvero una brutta persona!” constata allegro. Mentre tutti festeggiano con un Amaro Montenegro dal sapore vero, la nostra volpe furba è quantomeno perplessa. E adesso?
“Hanno fatto il solito buco nell’acqua, Pucci bello,” spiega Roper a Pine mollandogli un buffetto. La fascinosa spia gli fa un sorrisetto di circostanza, regalandoci un paio di espressioni di desolata disperazione, mentre Sua Malvagità si scambia un altro casto bacetto con Jed. “Sei il mio portafortuna,” dice, “è merito tuo se è andato tutto bene.”
Ma la modella che, come sappiamo, ha un innato talento per complicare le situazioni, ha proprio deciso che deve rendere la vita difficile a tutti, nell’accampamento. “Dov’è Corki?” domanda.
“Che ti frega di Corki adesso, non pensarci,” risponde Roper che prova, si sforza con tutto se stesso di essere amabile.
“No davvero,” s’incaponisce quella piattola di Jed. “Dov’è?”
“Aveva mal di stomaco, è ripartito, ed il coniglio gli ha mangiato il quaderno con i compiti,” spiega lesto il malvagissimo mentre Pine fischietta vago.
A Londra, intanto, una sgomenta Angela riceve una chiamata dall’Elfo Americano. Elrond in particolare e gli americani in generale non hanno gradito la figuraccia barbina fatta in così poco tempo. “Ullalà, Angela, la tua soffiata non valeva niente. Ti ha mai sfiorato l’idea che il tuo infiltrato sia passato al Lato Oscuro della forza e ora stia brindando alla facciaccia nostra?” grida in preda all’ira.
E la tostissima, per un momento, si imbambola al centro dell’ufficio. Possibile mai che Jonathan Pine, quel portiere di notte tanto caruccio, con quegli occhioni un po’ grigi, un po’ azzurri un po’ boh si sia immedesimato un po’ troppo nella parte? No, è troppo puccettoso, decide. “E se Roper avesse capito chi è?” ipotizza, conferendo al malvagissimo una capacità di analisi che, lo sappiamo, non possiede.
“Allora è morto perché noi di certo non possiamo aiutarlo,” sbraita l’Elfo.
Ma la giornataccia di Angela ancora non è finita. Torna a casa nella sua dimora lungo il Tamigi umida e piena di zanzare, nel buio totale e mogia come se le avessero appena tanato l’infiltrato ma, ovviamente, non le succede niente. Persino lo Squartatore avrebbe paura a interfacciarsi con lei, che credete. Chi non se l’è passata bene, invece, è quella nullità del marito di Angela che s’è fatto picchiare da Randall di Outlander o dai suoi sgherri.
Rifugio triste.
Un’altra faticosa giornata è trascorsa, nell’accampamento militare più sfigato di sempre. Fortuna che Roper ci delizia con la sua splendida giacca da camera da direttore di un bordello tedesco del dopoguerra abbinata, per l’occasione, a stivali militari che gli lasciano scoperti gli stinchi. Il cappello con la scritta Casino Municipale di Saint Vincent per fortuna non l’ha messo. Tale outfit, ribattezzato per la sua iconicità “Giuditta”, è usato dal malvagissimo per dilettarsi in uno sport da villain ricco di mezza età: il golf.
Il mattino seguente, quel figo di Pine nota un po’ di movimento e apostrofa Tabbies. “Che famo? Dove andiamo? Chi siamo?” domanda, acuto come sempre.
“Partiamo,” fa rima Tabbies.
“E questo carretto?” domanda il nostro eroe riconoscendo, nell’ammasso di legname trivellato di colpi, la carriola improvvisata dei profughi.
“Uhm,” risponde Tabbies osservando il fucile appartenuto al ragazzino profugo, “abbiamo risolto delle grane. Al capo non piace lasciare tracce.”
“Che vuol dire risolvere?” chiede preoccupato il nostro eroe. Tranquilli, non si è rincretinito a forza di bazzicare quella polla di Jed; è solo che ha un animo così sensibile e nobile da non poter accettare la morte di quei poveri innocenti, pure se erano stupidi come capre. Chiedendo scusa alle capre.
“Toh, è vintage,” conclude Tabbies mollando il fucile a Pine, che fissa imbambolato ora l’arma, ora la coperta lurida della vecchina, ora la carretta, e poi di nuovo la coperta finché, per fortuna, Roper non lo apostrofa. “Ohi Pucci, è ora di andare!” esclama.
Partiti su delle jeep scassate, Roper non può esimersi dal vantarsi della sua brillante performance. “Allora,” inizia, “hai capito qual era il trucco, Pucci?”
“Le armi non erano qui,” constata l’ovvio la nostra volpe furba più di una volpe furba.
“Solo quelle che servivano per la dimostrazione,” spiega Sua Malvagità compiacendosi.
“Sono rimaste sempre a Istanbul. Sapevi che gli inglesi ti erano addosso, e hai cambiato il luogo della consegna” spiega Pine affinché anche lo spettatore redneck del Kentucky capisca.
“E così l’operazione Limpett è sepolta,” dichiara Roper mentre si impantana in mezzo ad un gregge di pecore. “Così era Corki il mio giuda,” prosegue loquace. Poi, mentre gli ovini intasano la strada, per una curiosa associazione di idee, fa una telefonata fondamentale. “C’è il signor Hamid, per favore?” domanda. “Gli dica che lo cerca il Ducaconte Richard Roper. O, con me parlerà” si annuncia. “Freddie? Sto arrivando col mio socio. Scattare!” ordina.
L’avevo detto io. L’avevo detto, signori lettori, che prima o poi quel cretino di Freddie saltava fuori. La faccia di Pine è la stessa che avevate voi quando la professoressa di matematica vi interrogava e voi non sapevate una fava.
Ed eccoci che torniamo là dove tutto è iniziato. Il Cairo.
“Dove alloggiamo?” domanda Pine un po’ teso. Lui lo sa già. Gliel’ha detto Branko nell’oroscopo, che sarebbe stata una settimana di schifo. E poi, è una volpe furba più di una volpe furba, quindi un po’ se l’aspetta quello che capiterà.
“Freddie ci ospiterà in uno dei suoi hotel. Il migliore, pare,” dice Roper mentre Pine bestemmia mentalmente in tutte le lingue morte che conosce, norreno compreso. “Sorridi amore,” dice intanto Sua Malvagità a Jed sorridendo in modo inquietante. “Siamo in vacanza.”
E zac. L’auto si ferma. E sì, siamo al Nefertiti Hotel. Il gruppo entra con la consueta nonchalance. Per ultimo, tanto per non dare nell’occhio, avanza Pine. Varca l’ingresso, figo come suo solito con in più l’aggiunta di un paio di occhiali da sole. Si ferma. Si guarda attorno. E poi se li sfila, facendo cadere in trance le telespettatrici, mentre la telecamera ne approfitta per riprenderlo da tutti i lati possibili – e sì, ha un nome questa ripresa, ma io ne so meno di Jon Snow di regia, per fermarsi sugli occhi mezzi verdi, mezzi grigi, un po’ azzurri insomma, boh, del nostro eroe.
Cosa sarà cambiato al Nefertiti Hotel? Certo non le chiavi, bruttissime e pacchiane; e nemmeno la suite dove dimorava Sophie, la sfigatissima ex amante del nostro povero e fascinoso eroe, la cui vista gli provoca un doloroso e sbiadito flashback. E adesso?
Nelle prossime puntate:
dove Jonathan Pine, con un coltellino, una cravatta e un dado, dovrà cercare di far saltare l’impero del Male messo su da sua malvagità pur non essendo McGyver. Riuscirà il nostro eroe a salvare la pellaccia?
N.d.A.
Come al solito, dedico questo episodio alla Cicala Sara, che legge e asseconda i miei deliri e non solo: e ora che condividiamo pure uno scontrino di Pandora, nulla ci può fermare, e alla Roby, che tenta di leggere ed il cui entusiasmo e affetto sento da qua, oltre le Alpi, e a tutti voi Lettori silenti e scriventi: ogni riga scritta è stata pensata per divertirvi e spero che vi abbia allietato. I vostri messaggi, sul blog e non solo, sono stati qualcosa di inaspettato e stupendo. Dunque, citando Loki, che ci sta, che ci dobbiamo fare? grazie a voi. E adesso che mi sono giocata il dio degli inganni alla terzultima puntata, che farò? Che volpe furba più di una volpe furba che sono…
Claudia
Sei straordinaria!!! Leggerti è un piacere unico!
Grazie mille 🙂 sono felicissima che ti sia piaciuta! Continua a seguirci… noi Cicale ci divertiamo un sacco con questi articoli 😉 bacioooo