Attenzione: la visione di The Night Manager provoca assuefazione, episodi sporadici di grida isteriche e sospetta quanto preoccupante dilatazione delle pupille. Si consiglia la visione settimanale in religioso silenzio, rotto solamente dalle esclamazioni della paziente o dalle amiche della stessa, sospiranti, ad intervalli regolari, una lunga serie di apprezzamenti verso l’affascinatissimo Tom Hiddleston. Qualsiasi altro rumore o battuta può scatenare, nel soggetto, reazioni violente e una lunga e colorita serie di maledizioni inenarrabili.
Nelle puntate precedenti: (episodio 1 parte 1 e parte 2)Jonathan Pine, ex soldato approdato con soddisfazione nel business alberghiero (fa il night manager, traduzione chic di portiere), s’innamora dell’amante di un ricco e viziato malvivente che sta comprando un arsenale. Nel tentativo di salvare la sua bella e tutti noi, ne velocizza la dipartita. Mica si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Isolatosi in eremitaggio in quel di Zermatt, Svizzera, incontra, dopo quattro anni, il responsabile morale della morte della donna: Sua Malvagità Richard Roper e tutta la sua banda. Pine inizia a spiare l’uomo, ed avverte l’unica persona al mondo che tenta di contrastare il malvagio trafficante, Angela Burr. La donna incontra il nostro e, vedendo in lui del potenziale, prova a reclutarlo come manovalanza spionistica a basso costo.
The Night Manager episodio 2 parte 1: quando il gioco si fa duro, Jonathan Pine inizia a giocare
Maiorca, Spagna. Sole, mare, pesce, paella, villa da sogno. Nelle sue stanze, Jed, la bella fidanzata stanga del perfido Richard Roper, sta provando un indumento a lei sconosciuto. Le mutande. Ne indossa ben due paia, in pizzo, modello culottes, scomodissime d’estate, ma tant’è. Poi si guarda allo specchio, prende una pasticca di tranquillante e subito, a rendere vano ogni tentativo di calmarsi, ecco che squilla il cellulare. Un classico.
“Pronto ma’, ti avevo detto di non chiamarmi,” sibila stizzita ciancicando una gomma.
“Ti vergogni forse di tua madre?” risponde una vecchia contadina persa in qualche paesetto sperduto posto nel centro degli Stati Uniti. Invece di attaccare fingendo inesistenti disturbi alla linea, che fa quella polla di Jed? Risponde, svelandoci la sua condizione di ragazza madre, figlia di una megera malefica che vive a sue spese in una casa fatta di assi di legno e lamiera che al primo tornado vola via. Dopo aver battuto cassa, la simpatica strega in vestaglia si accomiata dalla figliola dimostrandole, una volta di più, tutto il suo affetto. “Ricordati una cosa Jed. Sei una lurida meretrice,” puntualizza schifata (ad essere oneste utilizza l’altro nome della città di Ilio per appellare la figlia.) Conclusa l’incoraggiante conversazione, Jed neanche a dirlo ingolla mezza confezione di tranquillanti come fossero tic tac. Così, in scioltezza.
Mentre si riprende dallo stordimento, bussa alla porta un ragazzino. Il figlioletto di Sua Malvagità Richard Roper, venuto a stanare la modella. Di fronte al bambino, la ragazza si riprende subito. Il marmocchio, in effetti, è un signorino proprio: giacchetta, camicia rosa, pantaloni beige, ricci neri, educato come un piccolo lord: insomma, risveglierebbe l’istinto materno in chiunque. Del resto, a pagina 5283 del “Manuale del Perfetto Villain”, viene detto chiaramente che il figlio del cattivo può essere di due tipi: o è un pazzo criminale maniaco peggio del padre, oppure è una creaturina buona e dolce che nulla sospetta delle attività losche del genitore. Fin quando le scopre, viene traumatizzato e diventa un pazzo criminale. Mica le faccio io, le regole.
Dopo un tempo più o meno infinito, Jed finalmente si palesa a Roper e compagnia bella che, nell’attesa, ha avuto modo di leggere e commentare tutta l’Historia Langobardorum di Paolo Diacono. Oh, noi donzelle abbiamo i nostri tempi. La modella sfila con la solita grazia tenendo per mano il bimbo. “Questa sera esco con un altro ragazzo. È più giovane e bello di te,” esordisce divertita, cercando evidentemente di mandare messaggi subliminali al fidanzato attempato.
Ma Roper è entusiasta dell’arguzia della fidanzata: attento, Richard. Guarda che il nanerottolo non è l’unico essere maschile dotato di fascino oltre te, in questo telefilm: il nostro Night Manager, difatti, è da qualche parte, anche se si sta facendo attendere come una diva. E comunque, le mutande, regalandoci una grande lezione di stile, Jed le ha messe color nude, dato che ha indossato un abito bianco. Brava la nostra stanga, almeno non traspariranno.
Dato che l’attesa di Jed è durata per tutto il pomeriggio, tanto che Richard temeva che la donna fosse svenuta nel bagno, l’allegra brigata di trafficanti si fa una corsetta in motoscafo fino all’amena isoletta dove c’è uno di quei ristorantini carini sul mare. “Zuppa di pesce per tutti!” ordina Sua Malvagità in modalità sciampagnone. Insomma, è proprio una bella serata per i nostri delinquenti. Iago/Gorky fa assaggiare per la prima volta del vino al figlio di Roper, Jed fa ballare il ragazzino. “Mi freghi la donna, bevi il mio vino,” dice con occhi luccicanti dalla soddisfazione il malvagissimo al pargolo che, tenerezza, è vestito come lui. Tutti ridono, danzano, si divertono, scherzano, quando, ad un tratto, due figuri ricci e barbuti con l’accento straniero, certamente delinquenti, irrompono nella veranda sul mare.
“Questa è una rapina!” gridano, e afferrano baby Roper.
“Ti diamo tutti i nostri soldi. Ti diamo l’incasso della serata. Ti diamo i gioielli, un set di pentole, un materasso, centomila dollari entro quindici minuti, un orologio, il Bimby, il motoscafo parcheggiato qua sotto, il mio esercito di Minion e un biglietto della lotteria. Più una cicca. Però lascia stare il ragazzino,” supplica l’uomo più cattivo da qui ad Aldebaran.
I due rapitori si guardano negli occhi. “No, no, chissenefrega. Ci prendiamo comunque il bambino. Vi faremo sapere,” taglia corto il più barbuto dei due, dimostrando estremo fiuto per gli affari. E, pistole alla mano, scendono a riva per fuggire nella notte, ma un rumore, oltre delle assi di legno, li fa trasalire. “Chi c’è lì?” grida uno dei due malviventi. La telecamera si stringe su un foro. E lo sguardo penetrante grigio, azzurro, verde, boh della nostra volpe più furba di una volpe furba, finalmente buca lo schermo. Alla buon’ora.
Zermatt, sei mesi prima
Mica vorrete che abbandoni il presente così, vero? Ormai abbiamo intrapreso questa cifra stilistica e dobbiamo mantenerla per tutta la serie, pure se ci stanno i flashback. Ma torniamo un momento a gelarci le terga in Svizzera. Avevamo lasciato quel figo di Pine in compagnia di Angela Burr. La donna, chiaramente a corto di soldi e personale, sta camuffando il colloquio di lavoro del night manager in una tranquilla e banale conversazione. Del resto, ma quando le ricapita di poter arruolare una volpe furba più di una volpe furba come lui? Oltre a essere bello, difatti, il nostro eroe è riuscito a procurare ad Angela preziose informazioni su Roper. Ben due volte, che è molto più di quanto hanno fatto gli altri agenti di Sua Maestà. Chissenefrega se è stata solo una mera casualità. Va assunto, e basta. Quel figo di Jonathan, tuttavia, ancora non si è deciso a firmare, vuoi perché la Burr ha borbottato qualcosa come “niente ferie né tredicesima,” vuoi perché lui, al contrario di Jed, un briciolo istinto di conservazione ce l’ha.
Il nostro eroe, difatti, è sì più furbo di una volpe furba, ma Sua Malvagità Imperiale Richard Roper con le volpi furbe ci si fa i colli dei cappotti. Angela, tuttavia, ormai ha azzannato la sua preda ed è decisa a non mollare l’osso. Quando lo ritrova un pazzo disposto ad assecondare i suoi piani suicidi?
“Nel tuo curriculum hai tolto il Nefertiti Hotel,” osserva vaga mentre già un piano malvagio le si disegna in testa. “Ma dimmi un po’, non è che Freddie Hamid si ricorda di te?” la butta là Angela.
“No, macché. Non sapeva nemmeno il mio nome,” sorride Pine sicuro di sé, mentre il sole del mattino gli rischiara il volto e fa brillare di più i suoi begli occhi grigio-verdi-blu insomma, boh.
Ora, per la già citata legge di Murphy secondo cui se una cosa può andare male, ci andrà e corollari, è abbastanza probabile non solo che la nostra volpe furba si ritrovi faccia a faccia con quel cretino di Hamid, ma che il suddetto lo riconosca pure. O forse no, chissà, non ho ancora visto nemmeno la puntata tre mentre scrivo queste righe.
“Vabbè, quindi con una ripulita possiamo crearti una nuova identità super segreta e puoi diventare la spia fighissima che tutti aspettano,” medita ad alta voce la donna. “Ti fanno maneggiare la pecunia?” domanda alzando un sopracciglio. “Se, diciamo, qualcuno se ne andasse con tutti i soldi, se ne accorgerebbero?” s’informa la nostra agente.
“No, sono dei polli. Con un minimo di scaltrezza ti porti via pure l’hotel,” sorride Pine. Ah, però.
“Uhm. Scommetto che una volpe furba più di una volpe furba come te riuscirebbe a trafugare qualche spiccio.” insinua la nostra.
Pine ridacchia, gongola di fronte a quella faccia di tolla di Angela che lo sta per fregare in maniera mai vista. Giunti sulla cima della montagna dove il nostro affascinante eroe ha scelto di dimorare, veniamo colti, al solito, dalla solitudine del paesaggio circostante.
“Non ricevi molte visite,” osserva l’agente rabbrividendo di fronte ai cumuli di neve alti come persone che circondano la casa di Jonathan Pine.
“No, in effetti,” risponde sereno il nostro, che proprio non si rende conto di come tutto il genere umano a parte lui trovi la sua solitudine un filo preoccupante. Quando però spalanca la porta della sua confortevole dimora, qualche dubbio sulla sanità mentale del nostro eroe Angela Burr ce l’ha. I due si siedono sul divano-letto di Pine, e l’agente prende in mano l’unica cosa, oltre alla copia in dvd di Amore con interesse, che spicca nella piccola libreria di fianco a lei. Trattasi del dvd 1997: fuga da New York col mitico Jena Plissken.
“Il mio tesssssssoro!” sibila Pine riappropriandosi in fretta del prezioso tomo e stringendoselo al petto.
“Era di tuo padre, vero?” incalza Angela.
Jonathan Pine sgrana gli occhioni e annuisce. È fatta, pensa la donna. “Ho letto di tuo padre. Era un agente sotto copertura a Belfast. Del tuo stesso reggimento. Quando l’hanno sepolto, dovettero mettergli la divisa,” ricorda con enfasi. La nostra volpe tira su col naso al pensiero della difficoltà oggettiva dell’impresa, facendoci immaginare Pine Senior ridotto più o meno ad uno spezzatino. È il momento adatto, per Angela, di reclutare Pine.
“Devi aiutarci. Per tuo padre. Per il tuo paese. Per Sophie, per il potere di Greyskull, per Asgard, per quello che ti pare. Jonathan Pine, avrai paura ogni ora della tua vita, ogni secondo, prenderai un sacco di mazzate e scivolerai in un mare di letame. Ti creerò una leggenda dettagliata, terribile. Ma, alla fine, se sopravvivrai, recupererai l’Auryn e avrai un nuovo nome. E la pensione. E smetterai di campare così. Ci penso io a te, Pucci.” Angela è gasatissima ma, ovviamente, esagera. Non dispone nemmeno del budget per aggiustarsi i termosifoni, figuriamoci per finanziare le mirabolanti avventure del fascinoso Pine. Viste le allettanti proposte, il nostro Night Manager finalmente decide di dare le dimissioni e prendere la liquidazione ed il trattamento di fine rapporto direttamente dalle casse dell’Hotel. Poi si ricorda di tutte le volte in cui hanno fatto finta di pagargli lo straordinario, e sgraffigna qualche mazzetta di soldi extra. E se ne va, fischiettando, in quel di Londra.
Jonathan Pine, il terrore di Zagarolo, Devon.
Londra, albergo triste.
Finalmente, signori e signore, il momento è giunto. Jonathan Pine è al corso serale intensivo per apprendiste spie promosso da Angela Burr, organizzato per l’occasione in un albergo (ancora, sì). Unico studente, lui ovviamente.
“Prendiamoci una tazza di the e diamoci del tu,” dice la donna agguantando i classici biscotti con scaglie di cioccolato anglosassoni, che quel precisino di Pine rifiuta – altrimenti come li sfoggia gli addominali? “Ascolta il mio piano brillante. Adesso ti avvieremo ad una fighissima carriera criminale. Sarai il secondo uomo più cattivo del Devon, perché il primo posto è già occupato.”
“Sì,” dice Pine seduto composto su una sedia come un bravo soldatino.
“Devi essere della stessa pasta di Roper, capito? Lui deve sapere che siete uguali! Lui se ne frega delle regole? Tu te ne freghi due volte!”
“Sì,” risponde Pine bevendo il the.
“Devi essere cattivo, capito? Così cattivo che un esercito di Minion deve sbavare di fronte alla tua foto! Così cattivo che tutti devono farsela nelle mutande quando passi, capito?”
“Sì,” scatta Pine.
“Se qualcuno ti rompe le balle, che Chtulu l’aiuti! Se qualcuno ti pesta i piedi, tu lo pesti come una zampogna! Devi essere pazzo, capito? Pure io devo avere paura di te! Tira fuori lo psicopatico che è in te!” grida la Burr.
“Ehm… sì” risponde prontamente Pine.
“Non mi devi dire sì, mi devi dire no! Questa è l’ultima occasione che hai per tirarti indietro e tornare a fare l’asociale da qualche parte! Sei sicuro di voler accettare?”
“Ehm, sì?” risponde Pine che ormai ha sgraffignato ventiquattromila sterline dall’hotel dove lavorava e, se non accetta il lavoro di Angela è costretto a reinventarsi barbone e madonnaro.
All’ennesimo sì, Angela è tentata di prendere a testate la parete ma, siccome riesce ad intuire che sotto i panni del condiscendente ex night manager c’è una volpe furba più di una volpe furba, prova a con del training autogeno a calmarsi. Recuperato il controllo prima che le scoppi un’arteria, Angela si sofferma sulla sua nuova obbediente recluta. “Il problema è che sei troppo perfetto,” sospira dando una voce a tre quarti della popolazione mondiale femminile. “Tieni, mangia un biscotto,” dice costringendo il nostro con l’antica tattica ninja dell’ingozzamento della nonna. E, mentre Pine è costretto a finirsi l’intera scatola di cookies, Angela passa ad illustrare, nel dettaglio, il suo geniale piano.
“Adesso seminerai il terrore nel Devon” spiega la tosta Angela.
“A Plymouth?” chiede Pine ancora intento a masticare.
“Ehm, no. A Zagarolo,” precisa la Burr. “Ma prima, ci dobbiamo tutelare.” Ed ecco che, finalmente, tira fuori il contratto che ormai le era muffito in borsetta. In bianco. Pine fissa la Burr, aspettandosi che lei dica qualcosa come “è scritto con l’inchiostro simpatico,” invece l’agente, a disagio, borbotta che “c’è scritto che non ti abbiamo costretto. Che ti dimetti. E che rinunci alla tredicesima.”
Va’ che forse, stavolta, riusciamo a strappare a Jonathan un no. Tuttavia il nostro eroe ha un’improvvisa visione di se stesso intento a chiedere l’elemosina alla stazione Garbatella e, siccome il tempo dei ripensamenti semmai, doveva essere prima di sgraffignare i soldi dell’hotel e non dopo, accetta.
“Almeno ho licenza di uccidere?”
“No, ma posso darti la tessera del Simply,” concede Angela, che è in dolce attesa e quindi si è fatta più buona.
Dato che l’abito in pelle nera con decori in oro e verde era in tintoria, il nostro Pine sceglie di optare per un outfit da villain che è un evergreen: giacca di pelle che per poco non fa svenire la Cicala Claudia, felpa che nel Devon deve fare un freddo maledetto, pantalone scuro, guanti e stivali di pelle nera e moto rozza. L’intimidazione del piccolo villaggio di Zagarolo inizia proprio da qui, quando, nell’ameno villaggio che conta più pecore che persone (il rapporto è stimato in 4 a 1), fa il suo ingresso in una strada sterrata il nostro Jonathan a bordo della sua roboante moto.
La prima tappa è la drogheria del paese, un alimentari di quelli tristi dove vi fidereste solo a comprare il pane. E qui il nostro eroe fa la sua prima vittima. La commessa, ragazza madre con evidenti casini e infante al collo, s’innamora perdutamente del bel tenebroso miracolosamente approdato, e non fa caso al fatto che il figo paghi in contanti almeno sei mesi d’affitto in anticipo. Come faccio a saperlo? Elementare, Watson: va a vivere dentro una catapecchia che probabilmente era nata come stalla, tenuta peggio che mai, e paga con una mazzo di banconote che o erano di taglio infimo o erano sei mesi d’affitto.
Jonathan, in sella alla sua belva, si dirige verso la stamberga, riattata nel frattempo a rifugio dai tossici locali. E proprio questi ci trova, intenti a copulare nel degrado più totale. “Fuori dalle balle,” tuona il nostro infiltrato preferito.
“Ma qui non ci viene mai nessuno!” si giustifica il ragazzetto.
“Adesso ci sto io!” marca il territorio Pine che neanche su Discovery Channel.
La seconda tappa è lo spacciatore locale. Che, diciamolo, è un poveraccio. Lavora a Zagarolo, Devon, mica a Londra. È vero che ha una clientela ristretta ma fedele, ma ricordiamoci che la densità urbana del paesetto è piuttosto scarsa e le pecore non rappresentano una fetta di mercato.
Pine entra con arrogante alterigia. “Tu. Adesso comprerai la roba solo da me!” esclama. Lo spacciatore con poco senso estetico (perché i pantaloni della tuta anche no), esita un momento di fronte a Jonathan. Per quale ragione questo psicopatico vuole instaurare il suo business proprio in questo villaggio di sfigati? Ma Pine, che ha imparato a memoria tutto il “Manuale for dummies del Perfetto Villain,” lo pesta come se non ci fosse un domani e usa su di lui una delle tecniche della Scuola di Nanto. La terribile mossa dell’ingozzamento della nonna, già usata su di lui da Angela (ma nella sua versione soft). Dopo di che se ne va, lasciando il povero delinquente tremante come una foglia. “El diablo!” mormora alla sua fidanzata tossica che, durante tutto il pestaggio, si è fatta i beneamati fatti suoi.
“No, è Loki,” specifica lei.
La terza tappa del giro di Pine è il pub. Il posto ideale per fare della socialità. L’ex portiere si siede al bancone, ordina una birra e la beve. Nel bicchiere, perché in fondo è un signore ed il pub serve alla spina, mica cavoli. Gli occhi di tutto il paese sono posati su di lui, un po’ perché è proprio figo ed è più bello del 300% di quel branco di pescatori tristi, un po’ perché si è andato a sedere al centro del bar.
Insomma, Jonathan Pine a Zagarolo in breve tempo riesce ad ottenere il rispetto. E non solo. Proprio perché intimidisce pecore e spacciatori in sella alla sua roboante moto, degno erede di Jena Plissken, ha ovviamente uno stuolo di donne che lo adorano. Su tutte, spicca la moretta della drogheria. A lei, questo motociclista figo dedito a loschi traffici, fa impazzire. “È l’uomo mio,” pensa, “il padre che vorrei per mio figlio.” Il fatto è che per concupirlo, gli si deve avvicinare. Come tutte del resto, perché Pine non si scomoda mai a sedurre una donna. Sono le donne che sbavano per lui e ci provano come disperate.
“Ti ho portato l’acqua che avevi chiesto,” trilla dopo aver pedalato per sette chilometri sulle aspre colline di Zagarolo.
“Ma io non ho ordinato niente,” precisa Pine intento nella virile attività del taglio della legna.
L’intraprendente donzella, ad ogni modo, decide che quell’uomo, il maschio alfa, sarà suo. “Ormai l’ho portata fin qui…” specifica in fretta. Siccome a pagina 7852 del Manuale for Dummies della Perfetta Spia Infiltrata c’è scritto che ogni lasciata è persa e che la spia deve copulare con qualsiasi donna vortichi nel raggio d’azione della stessa, Pine, che è ligio al dovere, la invita a prendere un caffè. Nonostante la sua fama di perfido spacciatore, la ragazza accetta. Prima di finire a letto insieme, i due conversano.
“Che fai tutto il tempo?” chiede la ragazza.
“Cucino,” risponde Pine.
“Anche io,” risponde la ragazza, che coglie l’occasione per ammorbare la nostra volpe con tutta la storia della sua triste vita, del suo squallido marito e così via. Jonathan vorrebbe azzittirla, come si evince dalla diapositiva, e si maledice mentalmente per non aver detto qualsiasi altra cosa. Ma la nostra volpe furba non sa che, qualunque cosa avesse risposto, da “caccio mostri marini,” a “in realtà sono un’antica e irascibile divinità norrena,” a “sono un vampiro,” la determinata campagnola avrebbe comunque risposto “anche io” o “anche mio cugino.”
Insomma, la vita del cattivo, a Zagarolo, Devon va’ che è una meraviglia. La stalla, grazie al catalogo dell’Ikea, è un posto accettabile, l’attività imprenditoriale frutta rispetto, grana e morosa, ma Angela Burr richiama subito il nostro all’ordine. Pine si trova in casa un uomo dai capelli rossi vestito pure lui da motociclista e, insieme, terrorizzano il paesetto per l’ultima volta. La sera stessa, Pine al solito si reca in quel posto festoso che è il pub di Zagarolo, Devon e beve la sua birra, scuro in volto ma sempre figo come nessuno.
Irrompe il rosso. “Bella, zio, sistemeremo tutto. Giuro. Vedrai,” dice.
Pine rimane in silenzio. Poi scatta e gli sfascia il bicchiere in testa e lo picchia senza pietà, finendo per far suonare persino l’antifurto di una Lanos parcheggiata fuori dal pub. Di fronte allo sguardo stupito e alle bocche sdentate della popolazione locale, Jonathan esplode. “Cosa vi guardate? Non aveva il biglietto!” esclama.
Il giorno dopo, la campagnola nonostante la scena da pazzo fatta dall’uomo suo, corre alla stamberga in mezzo al nulla. C’è sangue semplicemente ovunque, sembra un set di un film dell’orrore che parla di una sanguisuga gigante che esplode nella cucina. Ma la campagnola non riesce a credere che il motociclista pazzo di cui si è innamorata possa fare un simile scempio. “Ma mica avrà ammazzato qualcuno?” si domanda la nostra. Ma no, cara. Figurati. Era solo pomodoro.
Claudia
nei prossimi episodi:
Dove finalmente finisce il lungo flashback di Jonathan Pine e scopriamo cosa ci fa la nostra volpe furba più di una volpe furba dietro un casotto sulla spiaggia. Riuscirà a farsi notare da Sua Malvagità Richard Roper?
N.d.A.
Ma lo sapete che scrivo episodio per episodio? Che non ho (ancora) voluto vedere la versione in inglese (nonostante la voce di Tom Hiddleston)? Ecchisenefrega, direte voi! Ringrazio tutti coloro che hanno apprezzato i precedenti episodi, la mia socia, la Cicala Sara per le revisioni, i consigli, ed il supporto morale, Tom e Hugh per aver messo la loro pecunia personale per produrre questa serie TV e gli abitanti di Zagarolo tutta, già protagonisti di più note parodie.
Favoloso!!! Geniale, brillante, divertente fino alle lacrime!!!
Fino alle lacrime? Ma grazie, grazie grazie! Sono contentissima che ti sia piaciuto 🙂 (il materiale è buono, lo ripeto) Fammi sapere quali sono i momenti che hai preferito! 😀
E’ tutto così divertente che è difficile scegliere, ma di sicuro posso dirti che non riuscirò più a pensare a Pine se non come la “volpe furba più di una volpe furba”, che mi dedicherò al culto delle divinità norrene (oltre che a quello degli occhi blu, verde, grigi di Tom che ormai professo come l’unica vera dimostrazione che Dio esiste) e che il prossimo viaggio non potrà che vedere come meta Zagarolo, Devon!!!
Ah ah ah! Grazie mille, sono lusingata del tuo commento e sono felice che la nostra volpe furba più di una volpe furba abbia fatto breccia, e anche i buoni abitanti di Zagarolo avranno senz’altro apprezzato il lustro che la presenza di Pine gli ha dato. Porterà anche nuovo slancio all’economia locale? Chissà. Le divinità norrene e fascinose sono adorabili, specie se indossano un completo di pelle nero e verde… 😉