Le streghe di Lenzavacche: recensione e fantacast

Ogni libro vuole dirci qualcosa, è chiaro. Ogni libro ha i suoi messaggi, ogni autore ha in testa qualcosa quando inizia ad insediarsi su una pagina immacolata. Credo che le idee siano sempre tante, poi, con lo scorrere delle parole, vanno a posizionarsi a grappoli, più o meno definiti, e prendono la forma che devono prendere. Al lettore non resta che delinearli, a suo modo. Ognuno di noi, ogni paio di occhi, trasporta alla mente e fa un disegno diverso. Grappoli carichi, violacei, come i prodotti delle viti ad ottobre, altri verdi e aspri, altri ancora fatti solo di rami. Alcuni psichedelici, dai colori innaturali.

I libri ci parlano, ma noi che cosa capiamo?

È questa la frase che ho appuntato sulla prima pagina del libro di Silvia Lo Iacono, Le streghe di Lenzavacche, tra i candidati al prossimo premio Strega. Ci riflettevo, in vista di qualcosa che avrei voluto scriverci su. Non una recensione, forse una fanfiction, molto probabilmente un fantacast. Pensavo questo durante la lettura, in dirittura d’arrivo, perché i personaggi e i sapori di Sicilia mi inebriavano e non riuscivo a vedere chiaro. Ma in maniera del tutto positiva.

Trama (senza spoiler)

le streghe di lenzavacche

Siamo in un paesino della Sicilia, durante il fascismo. Rosalba e Tilde, sua madre, vivono tranquillamente senza uomini, ad eccezione del loro amico farmacista. Vivono sole, fino a quando Rosalba non si innamora dell’arrotino, girovago e amante dei libri. I due vivono un amore libero dalle costrizioni e dalle leggi, e questo li porterà alla condanna dalla parte di tutta la società del tempo e all’allontanamento dell’uomo. Rosalba però è incinta e metterà al mondo Felice, bambino disabile. Intanto è arrivato in città un giovane maestro, progressista e per nulla allineato con il regime e i programmi scolastici imposti. Le due vicende non si incroceranno se non alla fine, quando verrà portato alla luce un documento che rappresenta il legame tra le due piste della storia.

Realismo magico nel Sud Italia

Sono cresciuta a pane e Gabriel Garcia Marquez. Nei primi anni del liceo lo scrittore colombiano era per me una sorta di guru, colui al quale, unico e solo, avrei permesso di condurmi a conoscere il ghiaccio, o il plotone di esecuzione. Ancora oggi lo considero un padre letterario, che potrebbe guidarmi nelle letture e, quando ci provo, nei miei esperimenti di autrice.

le streghe di lenzavacche

Marquez e una copia del suo capolavoro, nonché libro principe della mia adolescenza: “Cent’anni di solitudine”

Il suo stile rappresentava in tutto e per tutto la mia adolescenza: molte belle parole, costrutti limpidi e complessi al tempo stesso. E poi c’è il realismo magico, che allora pensavo collocabile soltanto in quel Sud America sognante dei libri, o in quello rivoluzionario di una passione politica acerba, tutta proiettava verso l’utopia. Mi andava bene così, posizionare tutto queste belle sfumature dall’altra parte del mondo. Ho pensato a questo mio bizzarro modo di isolarmi durante l’adolescenza, mentre leggevo il libro di Lo Iacono. Un libro in cui le donne, le streghe, vivono un’esistenza intrisa di magia, coincidenze, incontri. In una Sicilia magica dove, oggi, riesco perfettamente a collocare il realismo magico. E dove con maestria lo fa l’autrice, non so quando anche lei influenzata da tutto quello che l’America latina ci ha dato nel secolo scorso. La Sicilia di Lenzavacche odora di pozioni magiche, e tutti i personaggi sembrano messi lì, con le loro formazioni e deformazioni, appositamente per soddisfare un secolare disegno fantastico. Sono viaggiatori, lettori, sfortunati della terra e a salvarli ci sono solo alcune cose: la magia, il destino e i libri.

La dichiarazione d’amore per la cultura

Le streghe di Lenzavacche è, a mio parere, un’enorme dichiarazione d’amore nei confronti della cultura e della lettura. Le protagoniste, le streghe, sia quelle che si muovono nel presente che quelle del ‘600, si contraddistinguono per l’amore per i libri, per il potere della scrittura. Rosalba si innamora dell’arrotino perché i due si riconoscono come lettori, nel più classico e romantico del “galeotto fu il libro e chi lo scrisse”:

“Notati solo l’inflessione colta tra le poche parole che diceva, vidi che dalla sacca di coltelli e punte emergeva la copertina di un libro, che le mani erano ombreggiate di inchiostro. E invece di rispondere, feci una domanda: ma Vossia ama i libri? (…) e farlo entrare fu semplice e necessario.” (pp. 35-36)

le streghe di lenzavacche

Paolo e Francesca

Felice, figlio di Rosalba e dell’arrotino, che non è in grado di parlare poiché affetto da una grave disabilità, chiede però di andare a scuola. Sua nonna Tilde, scrive. Il farmacista, amico di famiglia, scrive. Tutti i personaggi positivi del racconto sono strettamente legati alla cultura e lo sono soprattutto le donne, le streghe. E pagano per questa loro sete di conoscenza, per questo amore per i libri, tanto insolito, soprattutto per la loro antenata Rosalba, capostipite di tutto e moglie di Rinauro, vittima proprio della cattiveria di chi cercò di precluderle lettere e cultura:

“Tuttavia reputava che l’arte della lettura e della iscrittura non sarìa cosa da fimmina, rendendola audace anzitempo, malitiosa et propensa all’infedeltate.” (p. 116)

le streghe di lenzavacche

Jean Baptiste Santerre

Sua figlia, però, si riscatterà proprio attraverso la sapienza, vendicherà in qualche modo la madre e darà vita a tutta la vicenda. Un messaggio chiaro insomma, non nuovo, quello delle difficoltà delle donne alle prese con la cultura e soprattutto con gli uomini che cercano di allontanarle dalla stessa, adducendo motivazioni ora religiose ora spiegazioni innatiste, derivate direttamente da un presunto status naturale. La donna non deve studiare, lo studio la porta al peccato, la fa diventare una strega. E streghe siano, dico io.

Alcune scelte stilistiche e di struttura

La struttura del romanzo è molto interessante, si tratta di un’opera essenzialmente tripartita con una sezione in prima persona, una epistolare e la terza ed ultima, rivelatrice, in un volgare del 600. È interessante quindi spendere due parole su queste scelte linguistiche e di scrittura.

le streghe di lenzavacche

Eccomi al lavoro.

Inizialmente ho pensato che costruire l’intero testo in prima persona e una copiosa parte sotto forma di lettera fosse in qualche modo una “furbata”, una semplificazione. A volte mi sembra infatti che sia più semplice prendere la penna e scrivere come se si stesse parlando a qualcuno dei propri fatti oppure utilizzare il mezzo della missiva, con la quale è meno complesso e più naturale esternare pensieri, fatti e collocarli in luoghi e tempi ben definiti. Andando avanti con la lettura, però, ho avvertito quanto la struttura tutta fosse ben architettata, quasi come una cornice concentrica.

Rosalba, la madre di Felice, parla sempre in prima persona al figlio, unico interlocutore. È il racconto che ella fa della loro vita. Parla in prima persona per avvalorare la tesi dell’importanza della parola e della cultura; Rosalba non ha bisogno di intermediari per narrare e narrarsi, fa un uso potente della parola colta e si appropria di se stessa attraverso la parola. Ad un certo punto si giustifica quasi, perché lei non è strega, ma donna di lettere, al contrario di quanto le accuse degli altri vogliono far credere:

“Chi legge diventa indovino, affina le emozioni, tende i sensi. A volte mi hanno detto maliarda, alle altre sgarrusa e strega, ma io so che la mia capacità divinatoria non è magia. Solo abitudine alla lettura.” (p. 99)

le streghe di lenzavacche

Vladimir Volegov, 1970

In poche parole: fa un’azione forte, raccontando e prendendosi tutte le responsabilità del caso attraverso il possesso totale dell’io narrante. È una donna colta che si racconta, in un mondo di uomini bestie che vorrebbero farla tacere. Per di più parla al figlio, e riesce a porre con prepotenza in primo piano il tema della maternità, che percorre tutto il romanzo.

Le lettere del maestro Mancuso sono altrettanto significative. L’uso della parola, di un uomo colto ma non completamente accettato neanche da quelli del suo stesso rango, è un’altra lotta contro chi lo vorrebbe far tacere. E lui parla alla zia, che poi si rivelerà il legame che egli ha con gli altri personaggi della storia.

La terza parte, ancora in prima persona, è interessante soprattutto dal punto di vista linguistico. Era da tempo che non leggevo qualcosa in antico volgare o che lo imitasse. Ogni volta penso all’Armata Brancaleone di Monicelli o al Baudolino di Umberto Eco e a quanto, in realtà, ogni tentativo studiato o comico di ricordarci che c’è stato un passaggio tra noi e il latino sia innanzitutto emozionante, poi costruttivo. Vederlo per iscritto è un atto coraggioso, ancora di più farlo uscire dalla penna di una donna vissuta qualche secolo fa.

le streghe di lenzavacche

Ite! Pugnate!

Una scelta stilistica che mi ha affascinato e che lo fa ogni volta che viene fatta con cura e dovizia, è quella del discorso indiretto libero. Mi piace sperimentarlo quando provo a scrivere e l’ho provato soprattutto da quando ho iniziato a leggere in modo più approfondito i vari lavori di Melania Mazzucco. Lei lo fa quasi sempre e le riesce molto bene. In alcuni tratti ho apprezzato anche l’utilizzo in lo Iacono come quando, quasi senza soluzione di continuità, passa dalla prima persona di Rosalba a quella del direttore della scuola, impaurito dal fatto che la donna sia riuscita a trovare la legge che permetterà a Felice di frequentare la scuola:

“Questa volta lessi in lui un flusso angosciato di frasi, e ora che faccio, vuoi vedere che questa ha una legge da far valere per quel figlio? Un mostro, un invalido, che ci fa uno così nella mia scuola? Io che al fascio ho dedicato la vita, io che a fine anno li faccio sfilare inguainati e fieri (…)” (p. 100)

Il testo va avanti e sebbene inizi con la lettura telepatica di Rosalba, diventa poi lentamente proprio la voce dell’oscuro omuncolo, fedele alla dittatura fascista e impermeabile ai dolori e agli sforzi di una madre.

 

I personaggi de Le Streghe di Lenzavacche: chi potrebbe interpretarli?

Mentre si legge un bel libro si fantastica spesso su la fisicità dei personaggi, su come potrebbero essere, sui tratti del viso. E da questo a passare a chi potrebbe interpretarli in un eventuale film, il passo è breve. In perfetto stile Cicale, dunque, l’azione più naturale che mi viene è quella di trasformare anche questa piacevole lettura in un fantacastet voilà!

Tilde/Meryl Streep 

le streghe di lenzavacche

La più grande delle streghe. Materna, risoluta, infinitamente legata a figlia e nipote. Per quest’ultimo, soprattutto, farà di tutto. Mi prendo una licenza su un fantacast tutto italiano, e ci metto l’americana Meryl Streep che, da quanto ne so, parla l’italiano (correggetemi se sbaglio).

Farmacista/Sergio Castellitto

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Donnaiolo, profondamente legato alle streghe e a Felice. È lo zio buono, quello che ti fa ridere, ma ti sprona al miglioramento e alla concretezza. Sergio Castellitto, già me lo vedo intento a raccontare a Felice di come si conquistano le donne.

Rosalba (madre di Felice)/Isabella Ragonese

le streghe di lenzavacche

Bella, giovane, acculturata e riflessiva. Narratrice e allo stesso tempo vittima degli eventi, ma senza mai arrendersi. Il volto fresco di Isabella Ragonese potrebbe essere prestato all’interpretazione di Rosalba.

Padre di Felice/Pierfrancesco Favino

le streghe di lenzavacche

Il viaggiatore colto, il peccatore. Ha tutto l’enorme fascino di chi è costretto ad andarsene ma lascerà un segno per sempre. Favino, malandato e zozzo al punto giusto, potrebbe indossare le vesti dell’arrotino.

Maestro Mancuso/Luca Marinelli

le streghe di lenzavacche

VENICE, ITALY – SEPTEMBER 07: Actor Luca Marinelli attends a premiere for ‘Don’t Be Bad’ during the 72nd Venice Film Festival at Palazzo del Casino on September 7, 2015 in Venice, Italy. (Photo by Stefania D’Alessandro/Getty Images)

L’antifascista neanche troppo silenzioso, colui che si trova a Lenzavacche alla ricerca di qualcosa. E troverà molto più di quello che si aspettava. Ci metto uno dei miei ultimi amori cinematografici, il romano Luca Marinelli, che riuscirebbe sicuramente anche nella recitazione con accento campano (come Favino poco sopra).

Direttore della scuola/Tony Sperandeo

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È il vero rappresentante della dittatura fascista, che potrebbe essere messo in scena attraverso alcuni intensi sguardi di Sperandeo, volto siculo per eccellenza.

Corrada/Donatella Finocchiaro

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Corrada, che lotta contro tutto e tutti, per ricordare la madre, per aiutare le altre donne, che lascia un’enorme eredità a tutti i protagonisti della storia. Donatella Finocchiaro, sicuramente, potrebbe prenderne le fattezze e raccontarne degnamente le vicende.

 

 

Deodata/Valeria Solarino

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Colei che assiste Rosalba (la madre di Corrada), donna di libri e guaritrice, che la cura proprio con erbe e cultura. Sarà poi costretta ad allontanarsi dalla sua amica. Gli occhi scurissimi e intensi di Valeria Solarino mi fanno venire in mente i suoi, probabili.

Rinauro/Enrico Lo Verso

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Il marito di Rosalba, avversario principale del suo amore per la cultura. Nobile astioso che i tratti spigolosi di Enrico Lo Verso riuscirebbero a portare in scena.

 

Libro consigliato, of course.

Sempre vostra,

Sara

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